La Rivoluzione Liberale - anno I - n. 2 - 19 febbraio 1922

RIVISTA STORICA SETTIMANALE DI POLITICA ftnno I. - N. 2 - 19 febbraio 1922 Edita dalla ~~~ t • P.er il 1922: Lire 20 (pagabile in due quote • di L. 10). - Abbonamento cumulativo con o Il a m ~ Il. I. IL BARETTI: L. 32 (pagabile io due quote di L. l'). CASAEDITR.ICENERGIENUOVE IL BARETTI Supplemento lett_erario mensile. .. t-lon si' vende séparatamente .. fondata e diretta da PIERO GOBETTI Via XX Settembre, 60 - TORINO UN NUMERO LIRE o, 50 --------( Conto Corrente Posutle )-~------ SOi\11'1.ARIO: Appello. - U. FORMENTINI: La ·crisi rninisteriale e la Costituzione. - P. GOBETTI: Crisi mc-,rale e crisi politica. - G. DE RUGGIERO: I presupposti' economici del liberalismo. - B. GIOVENALE: Antiprotezionismo. - Esperienza liberale, - A. SALANORA: Alla "Rivoluzione liberale". ~ APPELLO con cui operiamo non ci concilia le simpatie e gli aiuti dei mecenati odierni (banche e industriali). Pure non crediamo di essere troppo ottimisti penconsensi che da ogni parte ci giungono, umili sando che esistano in Italia 3000 persone che per o autorevoli, ci provano che siamo giunti al mo- la loro educazione politica e per i loro ideali, poRJento opportuno (idealmente), che la Rivoluzione trebbero esprimerci la loro solidarietà abbonandosi, Liberale ha sin dai primi giorni di vita una sua fun- e 100 amici i quali per essere più vicini a noi, per zione. Le lettere e le discussioni che pubblicheremo averci seguiti già da molto tempo con simpatia doael prossim0 numero sul Manifesto chiariranno con vrebbero sentire il dovere di aiutarci maggiorfecondità i problemi e le esigenze da ·noi p_ostiini- mente a superare le incertezze di questi primi mesi zialmente. partecipando alla sottoscrizione. La nostra rivista è un organismo di vita, e di - Si tratta dunqu_e di trovare con un'intensa opera fronte alle opposizioni si chiarirà vivendo: supe- comune di propaganda queste 3000 persone; si rato il periodo di discussione, dimostrata la ,vali- tratta di far intendere agli amici il dovere morale dità del nostro programma cbn un'ampia opera di di aiutare la loro rivista, organo dei loro interessi critica e di revisione dei partiti potrà dedicarsi con spirituali. • 111aggiorecontinuità a! suo compito tecnico di esame Essi ci possono aiutare con l'abbonamento so• Ilei vari problemi pratici. Per ora l'esigenza di di- stenitore (Lire 100); con il pagamento di una quota stinguerci e di individuarci di fronte agli altri ci annua di L. 300 (anche in 12 rate mensili di L. 25); impone di ritardare la pubblirazione dei primi saggi con qualunque altro concorso alla sottoscrizione; di questo lavoro già pronto, la.monografia di Stolli trovandoci abbonati, inserzioni, facendo abbonare -tulle Bonifiche, di Giovenale sull'Agricoltura pie- le biblioteche che frequentano. montese, ecc. li problema finanziario è anche il problema della La risoluzione di queste esigenze teoriche deve nostra forza morale. Importa che lo risolviamo su· accompagnarsi per noi con la risoluzione del pr'o• bito, per sapere subito su chi possiamo contare, blema materiale della nostra esistenza. Dicend__oche per avere la garanzia di una continuità di vita oj,ela nostra rivista può vivere ~ola per la puntualità rosa. In questi termini rudi precisi occorre che i e il libero aiuto di tutti i lettori noi non diciamo nqstri amici lo meditino e che ci aiutino subito a una frase fatta, ma enunciamo la vera legge della liberarci dalle incertezze di questi primi mesi di aostra esistenza di movirnento!autonomo. La libertà vita. N.oi. La crisi ministeriale e la Costituzione. Io non voglio qui entrare nella polemica che .si è svolta in questi giorni sulla crisi ministeriale e sul suo andamento, nè sentenziare S'l/lla ragione o sul torto dei vari ;-ruppi, sull'andare a destra o a sinistra, Certi argomenti sono bastoni da pollaio, non si toccano senza insudièiarsi. E neanche è il mio mestiere di far la morale ai deputati, altro solito modo di ragionare intorno ;.i meçlesimi soggetti. • Ecco, l'Italia, sulla fine del gennaio scorso, era governata da un Gabinetto mantenuto - Giall'unione di due partiti, il popolare ed il democratico; - quest'ultimo, anzi, da poco costituito, dopo làboriose fatiche, col giusto proposito, per sè e per gli altri salutare, di conseguire in contratti del genere, resi inevitabili dalla composizione politica della Camera, una personalità e dei diritti che non aveva mai avuti fino ad allora. Per figurarsi la possibilità cli un cambi;,.- mento di Governo, un osservatore spassionato, avrebbe atteso la manifestazione cli un formale disaccordo fra i due gruppi associati, l'esposizione da una parte e dall'altra dei rispettivi punti di vista, un dibattito che avesse denunziato i motivi della crisi indicandone insieme la coerente soluzione. Oppure, avrebbe cercato le rivelazioni concrete cli un dissidio interno in uno dei partiti al potere; o la comparsa di un problema saliente di politica interna o estera. il cui scioglimento, disordinando repentinamente la struttura e l'equilibrio dei gruppi, avesse reso inevitabile il cambiamento immediato dell'indirizzo politico. , Nulla di tutto questo, lo sappiamo, in Italia, al momento in cui la crisi si è determinata. Anzi, rifacendo ~ rovescio il corso dei casi sopra esposti, ih politica interna niente di nuovo; in politica estera, al contrario, dimostrata. la opportunità della permanenza del Ministero; nel seno dei partiti la pace. Infine, quanto ai rapporti fra popolari e democratici, se discussi on i sori o sorte ciò è stato dopo là crisi e in conseguenza del suo svolgimento, non prima; e in ogni modo la fondamentale e sostanziale esigenza della reciproca intesa non è mai stata, nè prima nè dopo, negata. Anzi decisioni ufficiali di parte socialista, di poco precedenti all'inizio della crisi, avevano riconfermato la necessità del detto connubio, a n 01 escludendo l'unica soluzione diversa che apparisse praticamente possibile. Ciononostante abbiamo avuto la crisi ed è superfluo dir come. , Le crisi ministeriali in Italia, e in generale nei paesi di governo parlamentare, rappresentano una specie di rissa fra individui e bande, rette, con rapide e casuali coalizioni, defezioni e· vicendevoli ricatti, e la loro tipica manifestazione è questa· che tutte le soluzioni, anc/ie le più opposte e contraddi• torie, vi appaiono egualmente possibili. Così anche in quest'ultima abbiamo visto apparire e scomparire un Ministero di sinistra appoggiato ai socialisti, un blocco dei partiti costituzionali contro popolari e socialisti; un Ministero presieduto da un popolare e altre combinazioni. Il risnltato è sempre quello a cui suol riuscire una fazione tumultuosa: c'è un gruppo, a sorte, che vince provvisoriamente, e l'altro che s'acqueta con l'intento cli ricominciare la zuffa alla prima occasione. Questa volta si è dato il caso che i contendenti hanno impattato la partit·a e il Re ha mandato il Gabinetto dimissionario a districare la questione in seduta della Carnera. Ebbene in questa crisi, di nuovo (i casi analoghi sono abbastanza remoti) non c'è stato proprio che il gesto reale. In verità il sistema delle crisi extra-parlamentari è antico. E non è vero che dipenda dalla proporzionale, perchè il fenomeno si è notato ben prima di questo cambiamento: non è vero che sia conseguenza della gnerra, perchè in· realtà la situazione parlamentare attuale ha radici in nna serie di situazioni analoghe precedenti; e la cosa stupefacente è al contrario che un fatto tragico e grande come la guerra nulla abbia mutato. ' Direi che l.'.ini?iOdell'esperimento coincide con la salita al potere della sinistra; ma voglio tralasciare, per il momento, questa indagine storica. La semplice speculazione della crisi attuale·, in sè, è sufficiente a darci la fisionomia del fatto costituzionale di cui cui è rivelatrice. • Si è detto contro Bonomi, quel che si è detto contro tanti altri: che il suo governo era debole. Una definizione chiara, concreta e persuasiva del « governo forte• io non l'ho mai letta nei libri e nei giornali. Molti, materialisticarnente, intendono un governo che· usa le mitragliatrici, altri all'opposto fanno uscire questa forza da chi sa quali sortilegi. Ma un governo forte non è che un governo obbedito. E un popolo non può obbedire se prima non obbediscono i deputati, insomma se il Parlamento è fazioso. Questa ·è la situazione sotto l'aspetto psicologico. , La manifestazione concreta è la assoluta instabilità e impermane{,za dei Gabinetti. Un Gabinetto che deve spenclere la maggior parte della sua esistenza a difendersi dagli avversari: o a conciliarseli, vive soltanto a patto di non comandare. Ubbidisce e pon è ubbidito. Non è questa la condizione in cui hanno governato tutti i Gabinetti che si sono succeduti al potere in Italia per un lungo periodo. di anni? Abbiamo, è vero, l'esempio di un governo abbastanza duraturo impersonato in Giolitti. Ma se si guarda un po' addentro la storia del periodo giolittiano, anche in questo quanti accidenti! Infine sembra che tutta l'abilità di quel gran demagogo sia stata spesa nell'assicurarsi questa permanenza al po~ere, più che nel far trionfare un determinato disegno politico, Questo sforzo denunzia la debolezza del- "'fU"fg"ano. Insomma noi non abbiamo mai avuto un governo, come lo hanno avuto nei -periodi corrispondenti, per esempio, l'Inghilterra e la Germania. Ora, che il lasso di vita assegnato ordinariamente dal nostro costume politico ai Gabinetti, sia· già per sè insufficient'e a consentire lo svolgimento di un'opera· complessa e ordinata di legislazione e di amministrazione, mi par facile giudicare. E se la cosa poteva riuscire indifferente, o qùasi, in tempi andati, quando il campo delle attività dello Stato era limitato, sempre più grave diventa col trascen.dere smisurato cli quelle pubbliche funzioni. Ma se non g·overna il Gabinetto, governano gli uffici i quali non muoiono e non mutano. Il governo buroc_ratico è la rigerosa conseguenza dei fenomeni parlamentari _osservati. Questo è il fatto: e non è questione di andare a destra o a sinistra! Per ciò non è vero che lo Stato sia debole: è fortissimo e diventa sempre più forte (in tutto dipendiamo da lui, anche per star di casa); la venlà è cl,e certi ;boleri dello Stato sono sti-aordinariamenle indeboliti di /ronte a certi altri. Primo problema: rinforzare il Gabinetto. Premetto che secondo le mie-previsioni, per rutto quello che ho già osservato e per varie altre ragioni, il governo parlamentare è destinato a passare il) una fase di decadenza. Q.uali altri organi costituzionali siano per crescergli intorno e in quali rapporti con lui, non posso. spiegare in due parole. Tuttavia, decada o no il Parlamento, esso yivrà ancora certamente a lungo, e avrà sempre una grande importanza: quindi, chiunque per caso sia giunto alla stessa conclusione da me accennata, non è perciò dispensato dall'occuparsene. • Per studiare i rimedi, tralasciamo in primo luogo tutti quelli che non interessano propriamente l'arte politica, in quanto si rivolgono a modificare certi difetti dell'educazione e dello spirito-pubblico corrispondenti ai mali da correggere. Bisognerebbe rifarsi dalla scuola elementare, anzi dalla balia. Limitiamoci a considerare i risultati che si possono ottenere con· provvedimenti d'ordine giuridico. Una legge e un regolamento in primo luogo obbligano .positivai:nente le persone a fare determinate cose. Ma questo sarebbe poco; il loro principale effetto è di influire sulla psicologia umana: di creare cioè dei sentimenti e dei costumi. Per esempio, un Governo costituzionalmente forte sarebbe quello combinato di persone estranee-al Parlamento, o comunque scelte _all'infuori dalle maggioranze parlamentari; un Gabm etto fiduciario di un Principe forte. Questo è stato il sistema della Germania imperiale_ e ha fatto lunga e buona esperienza. S1 potrebbe anzi provare che quell'esperienza ha giovato aocb2 al Governo a tipo parlamentare che la Rivoluzione ha sostituito al primo, appunto nel senso di mantenere un costume politico rispondente alle esigenze dello spirito nazionale da cui la forma precedente era stata determinata.. Circa venticinque a1111ifa in Italia sorse, a proposito della forza e della debolezz;. del Governo, lo stesso problema che noi oggi tentiamo risolvere, per le stesse ragioni e gli stessi termini (ecco la prova della sua antichità). Il Sonnino tentò, il\ pratica ed in teoria, di trasportare, in Italia, il sistema germanico. Non riuscì e non occorre spiegare le ragioni perchè non poteva riuscire. Basterà dire che la proposta di Sonnino significava « la reazione> e quindi ha prodotto tutte le conseguenze che questa parola suole produrre sull'animo e sulla fantasia degli italiani. Se oggi uno ripetesse una proposta simile, sarebbe egualmente « la.reazione» coi conseguenti effetti. Appunto, tenendo conto di questi riflessi psicologici del diritto pubblico, molto più conveniente alle idee ed sentimenti prevalenti nel nostro Paese, appare una soluzione /orma/mente opposta. Nel sistema parlamentare, che è il nostro, si sa che il Re nomina i ministri ascoltando e interpretando la volontà parlamentare. Il Gabinetto si presenta a1la Camera e chiede un voto di fiducia, che solo gli dà l'effettiva autorità di governare. Questo è il nostro costume politico, jus traditum. Ora si tratterebbe di rendere positiva questa- norma, con lo stabilire' che il Ministero debba essere formalmente investito dei suoi poteri da un'apposita disposizione legislativa: una !ex de imperio. Si noti che in Italia manca anche una legge organica dei' i\1inisteri; cosicchè specialmente nella pratica di questi ultimi anni, la istituzione, lo smembramento, la soppressione di Dicasteri, è stata sempre attuatane! periodo cli formazione del Gabinetto, senza preventiva autorizzazion<" del potere legislativo. Questa legge pertanto, oltre a istituire il rito per il conferimento ai Ministri delle funzioni esecutive che loro spettano, fisserebbe e distribuirebbe anche, legalmente, le varie competenze. Per metterci d'accordo con la tradizione giuridica richiameremo la distinzione fra il Gabinetto come consilium principis e i sino-oli. Ministeri come organi definiti dal!' Amministrazione. Il campo proprio della legge_ che invochiamo sarebbe precisamente quest'ultimo, escludendo il pericolo che una nuova. facoltà data. alla Camera in tal senso, la erigesse in permanenza in Assemblea Costituente. Un tal sistema esigerebbe uguale procedimento anche per stabilire la cessazione dei poteri ministeriali. Vuol dire che, in caso di dimissioni, i Ministri dovrebbero chiedere alla Camera la procedura formale di esonero, in altro caso questa sarebbe provocata di iniziativa parlamentare. Quali gli effetti sperabili dalla riforma? Nulla più di quanto è sperabile da un provvedimento coattivo. Nessuna legge può imporre ai Deputati di essere çlei galantuomini, nè tanto meno stabilire sanzioni al riguardo. Non si può proibire a Cocco-Ortu di personificare la· • democrazia•. M.a la crisi avrebbe sempre,· necessariamente, un· processo parlamentare, quindi uno svolgi,."""" controllato dal pubblico. Non si fa h, .,~duta quello che sì fa nelle conventicole. Una disciplina crea delle idee

.. 6 e delle abitudini. Insomma l'atto di cambiare e quindi di istituire un Governo, verrebbe ad acquistare ciò che nella sciagurata pratica del nostro Parlamento ha perduto": ùi serietà. Certamente l'attuazione pratica cli un'idea come questa richiede una più precisa e circostanziata disamina. Bisognerebbe Vedere se proprio la procedura formale legislativa convenisse a provvedin1enti di tal natura, o se non fosse il caso di stabilire un processo .sui generis. Ma ìasciatno, per ora, l'idea greggia com'è. Piuttosto preoccupiamoci della rispettabile opinione di quella parte che nella riforma potrebbe scorgere una inquietante sfigurazione del potere regio. In pratica la competenza del Re rimarrebbe tal quale. La possibilità di uno scontro fra la volontà della Camera leg·iferante de imperio, e quella del Re, nell'atto di nominare o di accogliere le dimissioni del Ministero, sarebbero sostanzialmente quelle che ora si presentano per effetto di un voto politico rlella Camera. Teoricamente il Re avrebbe nel nuovo sistema, come nell'at- , tuale, la facoltà di aprire un conflitto con la Camera, rinviandole un Ministero formalmente destituito, come or.a un Ministero destituito da un voto politico; i11fineavrebbe sempre il potere sommo della provocatio ad popolum. Soltanto è vero che una simile riforma sarebbe difficile accordare con la lettera dello Statuto. Ma tutta la pratica costituzionale da cui la riforma procederebbe, è stata in realtà. una deroga al Patto. Infatti quando Sonnino pensò di cambiar sistema di governo nel senso accennato più sopra, disse semplicemente: torniamo allo Statuto. Ora, è facil cosa, ngn lo nego, che una proposta come la mia assuma colore demagogico: ma alla fine non si tratterebbe che di disciplinare positivamente una norma elaborata dalla consuetudine costante di mezzo secolo, e di cui la Monarchia stessa sarebbe stata la squisita istitutrice. UBALDO ORMENTINI. CRISIMORALE ECRISIPOLITICA l. - Il libro di Adriano Tilgher (1), ap- • incontestabilmente serio e e occasione al critico sereno una moda ormai dominante dopo guer-ra che bisogna com- ~nergia anche se manifestaa come tutte le mode. Il gusto :ratura sociale apocalittica e aacciosa di divini fulmini, pre- - _ 0 -~he decadenze e di spav,entosi ,tramonti ha sostituito, senza misura, l'esame spassionato dei problemi sociali, lo studio modesto e saggio degli elementi della storia politica contemporanea, l'indagine· sorretta da cultura tecnica precisa e volta ad obbietti determinati. Le smanie di una dilettantesca politica estera che per quattro anni concesse ad ognuno i più fantastici sogni e i piani più assurdi, si traducono - esausta la fantasia - in stanche visioni sintetiche del più banale sociologismo. Le individuali preoccupazioni, le torbide crisi dei singoli si vengono fotografando in costruzioni obbiettive -artificiosamente drammatiche. Nessuno più è disposto a studiare con saggezza i problemi singoli dell'azione e .della cultura politica. Bisogna parlare in ogni luogo di una crisi mondiale, del crollo di un'epoca, della morte di una civiltà: risalire dal fatto singolo, dal sentimento solitario, alla descrizione di tutto l'orbe morale e sociale. L'epidemia (cui non è estraneo il diffondersi superficialissimo di una pseudo-terminologia marxista) è irresistibile: noi stessi, avversari, ne diventiamo le vittime se invece di correre rapidi, come vorremmo, ai problemi di tecnica speciale, siamo indotti a salire parimenti in cattedra per opporci al1' apocalissi. 2. - Adriano Tilgher è scrittore efficace e serio pensatore. Il suo pessimismo ha forti spunti di profondità; individualmente è giustificabile in modo perfett9, è la sua forza perchè lo fa pensoso della presente realtà; estraneo a tutte le gioie massicce e ai pesanti ottimismi dei cuori allegri e felici. Egli è lo storico più sicuro della presente crisi morale e culturale. Capace di ;isalire alle intime ragioni filosofiche della storia, perfettamente informato sulle ultime correnti di pensiero, acutissimo nel cogliere le relazioni tra i fenomeni letterari, politici, speculativi, nell'esaminarne la verace sostanza spirituale sotto le incertezze sentimentali e le sfumature più generiche ha saputo con le Voci del tempo e con La crisi mondiale preparare per i posteri una valutazione preventiva notevolissima della nostra cultura e dei nostri stati d'animo. Fallisce la sua critica quandojn questa letteratura, necessariamente monografica e ta- (1) ADRIANO TILGHER: La crisi mondiale. Bologna, Zanichelli, 1921. agi 1a uH. ~IVOI.lU.Z:IOfiE lll13ERH.llE lora frammentaria, intervengono preoccupazioni costrutti ve, schemi troppo rigidi, pretese politiche. Il pessimismo non vale più. Diventa un peso morto, un ostacolo al realismo politico. I programmi che nascono da stati sentimentali come questo del Tilgher, che s'è descritto, sono tutti viziati da un originario intellettualismo e dalla mancanza di un'esperienza diretta dellapraxis politica. Corrono tutti alla politic,i estera per liberarsi dai vincoli della realtà, non sanho scorgere troppo ,bene [e connessioni tra storia mondiale e storia nazionale per amore dell'impreciso che pomposamente intitolano: visione geuerale. 3. - Esiste una crisi della civiltà capitalistica che in qualche modo si possa pensare , risolta e conclusa in un tramonto del capitatfsmo ·prossimo o imminente? Bisogna stare attenti e non confondere i termini obbietti vi della storia con quelli del demag.-ogismo politico e, quando i termini, per molte ragioni, sono gli stessi, tener bene separati i due sensi. Il tramonto del capitalismo, previsto e predicato dal Marx, è un mito utilissimo, una delle più forti molle della storia moderna ma sarebbe ingenuo discuterne come cli una verità scientifica o di un fatto seri:J. Invero la storia cbnosce processi, esi'genz~, risoluzioni di esigenzt!, n1a ignora i subitanei tramonti, le aurore nate da un ji.at. La ci viltà capitalistica preparata dai Comuni, sorta decisamente in Inghilterra, affermatasi negli ultimi decenni, in forma più o meno progredita, in tutto il mondo ci_vile è la civiltà del rispannio, delle intraprese che hanno bisogno per vivere di un c,~pitale mobile. I paesi più arretrati nella civiltà capitalistica erano appunto negli anni scorsi quelli dei sistemi di attività e di produzione anacronistici: la Russia, incapace cli liberarsi dal latifondo, l'Austria-Ungheria che teneva al potere la classe dei latifondisti ungheresi. L'Italia compensava l'ana-,,_ cronisrno del Mezzogiorno sforzandosi di creare attraverso l'emigrazione, il commercio, e tentativi ipdustriali addirittura imprudenti, una classe capitalistica. ideale che non ha po$a i miti e i programmi che la fraintendono e la negano e intanto trascinano per forza d'illusione anche le forze più riluttanti e ribelli a collaboran-i.· A chi segna palingenesi socialistiche il capitalismo moderno oppone insuperabili esigenze storiche e pratiche: gli operai, diventati coscienti cli tutta la loro forza, attraverso le rivendicazioni- di programmi inattuabili ma idealmente intransigenti e nobili, cozzandovi contro si fanno capaci di soddisfarle'; e divengono degni prosecutori del compito assoluto che il capitalismo i!:)esorabile pone a chi vuol guidare la storia mo.derna. ~ Così la crisi econo111icaattraverso una vigorosa dialettica diventa crisi politica: si chiariscono i termini e si esprimono in forze concrete che il politico concilia e svolge secondo la propria saggezza. Dall'incertezza sentinfontale scaturiscono ormai valori determinati e f.atti che entrano nella storia. , Questo processo, non mai abbastanza meditato, insegna (anche a noi uomini di lotta) la necessaria serenità, che al di sopra cli pessimismi e ottimismi è il solo atteggiamento realistico dello storico e del politico. 5. - Ma al Tilgher la considerazione degli stati d'animo e la palingenetica conclusione suggeriscono invece esili costruzioni di politica generale e avventati piani di politica estera. Un/ odio indomabile per la mentalità anglo-sassone gli fa scorgere nell'Inghilterra la sola responsabile della guerra (mentre il suo realismo filosofico gli insegna agevolmente che 110·11 esistono responsabili di un fatto universale come la guerra europea) e negli Stati U11iti il degno complice del dopo guerra, legati tutti e due per gretto calcolo con l'imperialismo francese. Concetti manifestamente esclusivistici an~l1e se contengono non poca verità. Contro . codeste nazioni capitalistiche Tilg~er invoca il blocco delle nazioni proletarie dell'Europa centrale e orientale (anche vi comprende il lontano Giappone!) e chiede l'esplicita adesione dell'Italia. In questa drammatica visione appena superficialmente interessante, il Tilgher dimentica le conclusioni catastrofiche e vi scorge per un momento, schematizzata la storia dei nuovi anni. Anzi una sua osservazione (pag. 102) sul valore finale , della rivoluzione che dovrebbEj dare una patria alle plebi che non l'avevano è davvero potente. Ma per riuscire valida doveva essere la sola ~dea o l'idea centrale del libro; non un solitario, dimenticato frammento di cui sembra che !;autore ignori il significato. • L'Italia non può aderire al blocco delle nazioni proletarie, perchè le nazioni proletarie non esistono e la politica si fa con ben altro realismo. L'Italia deve aderire, non politica.mente, ma economicamente, senza pregiudiziali esclusioni all'Europa (e all'America) op~rosa dalla quale il suo sforzo a ricostruirsi, ad afferrnarsi1 a salvarsi finanziariamente ed ccon<l!nicamente, può essere &iutato. La sua deve essére. una politica cli pace: benevola verso Germania e Russia come verso Inghilterra e· Stati Uniti. Falliti i piani giuridici e i .sogni ginsnaturaJistici del w·ilsonismo, l'Europa è oggi di fatto una Società delle Nazioni (o s'avvia ad esserlo, nonostante la Francia); una collaborazione per vincere la miseria, per superare quattro anni di lotta dolorosa e necessaria. Perciò la polemica del Tilgher contro l'int!;!mperanza dei nazionalisti e le follie dell'estetismo politico e contro il pagano giovandarchismo è pregevole e, per noi, interamente accettabile. Tutto il libro poi ha il merito cli far meditare sui rapporti tra storia ìnternazionale e storia nazionale, sebbene le interpretazioni che se ne danno siano poi dal punto di vista nostro da respingersi, come s'è detto. La guerra coincise nel suo valore politicG coù profonde crisi cli formazione nello spirit& dei vari Stati. Crisi di Stati, più che di Nazioni: l'ideologia nazionale è inadeguata alla realtà moderna. Le lotte e le contraddizioni della vita nostra si fondano su due esigenze di opposta natura che contemporaneamente si affacciano e generano soluzioni antitetiche le quali- potranno essere conciliate soltanto in una fase finalé che sfugge alla visione de_i pratici dell'ora. L'opera della civiltà moderna esige organi superiori in cui l'azione del singolo sia inquadrata e spontaneamente si organizzi: lo Stato moderno è diventato il termine essenziale della vita sociale. Ma dall'interno premono esigenze popolari. democratiche, che negano insième le pretese del nazionalismo e le invadenze dello Stato burocratico e protezionista. Confusamente questi sentimenti nella loro ampiezza europea ebbero espressione nel mito della Società delle Nazioni e talvolta persi~o. nelle aspettazioni bolsceviche. Nei singoli organismi (attraverso quante esperienze si vogliano di economia associata e di turatismo dilapidatore del pubblic◊s erario) si preparn l'affermazione dello Stato ètico come Stato liberale e il trionfo dell'iniziativa nell'unità. (Regime parlamentare reso possibile dall'autonomia e dal decentramento che vi si connettono necessariamente, come_ propo,ne il Tilgher). Anche questa è una forma in cui s'esprime l'esigenza dell'operosa pace economica a cui l'Europa, non ancora votata al tramonto, anela. PIERO GOBETTI.1 La logica a cui obbedisce questa civiltà è, come osserva il Tilgher, l'attività assoluta che ha fede soltanto in. se medesima. L'impulso le viene dalla superpopolazione, la forza consiste nella crescente capacità produttiva e nelle inesauribili invenzioni tecniche, la direzione dello svolgimento è data dai bisogni sempre nuovi. Allo scoppiare della guerra europea questa civiltà era appena sul nascere. La borghesia che parew rappresentarla risale alla rjvoluzione francese soltanto di nome: di fatto una vera borghesia in Italia, per esempio, sta appena nascendo, a fatica. La civiltà capitalistica del resto è al disopra delle classi, vuole l'opera di tutte le classi che vi partecipano e la creano concordi pur lottando tra sè inesorabili, ostili sino a giurarsi reciproca sopraffazione. La civiltà capitalistica PRESLiPPOSTIECONOMICI DELLIBERALISMO è una realtà obbiettiva che non può morire per un peccato d'orgoglio: l'umiltà la abbasserebbe, l'orgoglio coincide con la sua legge di vita. La guerra europea ne è stata la crisi di esuberanza, non di tramonto, e il Tilgher stesso è costretto a confessarlo quando guarda all'operosità che si riprende nell'Impero britannico e negli Stati Uniti. Non· si dimentichi che appena in questi anni viene sorgendo un capitalismo russo e che in tutta Europa alla momentanea stasi dell'industria sta sostituendosi un'organizzazione capitalistica (cultura intensiva) della proprietà agraria. . 4. - Le difficoltà e le oscurità présenti sono una crisi momentanea che agevolmente superiamo R_urtra incertezze e contradizioni. E certo come tutte le crisi anche questa non è da considerarsi con leggerezza, ma vuole gli sforzi operosi dei popoli e l'acume politico dei governanti. Chi la studi con libertà, senza desiderio di sintesi frettolose, vi scorge forme ed a spetti che ne agevolano e chiariscono Jacomprensione. Importa inizialmente clis,tinguere una crisi morale, una crisi economica, una crisi ·politica. La crisi morale è descritta con forza decisiva dal Tilgher e alla sua visione degli stati d'animo dell'Italia dopo la guerra (dal sensualismo allo scetticismo) poco resta da aggiungere se non forse una più precisa determinazione cronologica che limiti quei fatti nel loro valore di clocum~nti di psicologia durante le aspettazioni messianiche dei primi mesi dopo la vittoria che coN,dussero alle crisi del dannunzianismo e del fascismo. Oggi dalle preoccupazioni colte dal Tilgher siamo liberi, e i residui hanno altrove il loro centro ideale intorno a cui possono essere valutati. La crisi economica si viene superando più a stento, dopo lotte operose e feroci tra i vari elementi della produzione industriale, e proprio queste lotte hanno potuto suscitare in taluni l'illusione di pericoli mortali, il pensiero di un esaurimento definitivo. Ma l'intima natura della civiltà capitalistica è in questa ampiezza cli lotta; sua diretta funzione è suscitare con fecondità La pretesa di esaurire in un articolo un tema così vasto come quello del movimento liberale nel secolo XIX può sembrare rischiosa: nel caso più favorevole si corre il pericolo d'ischeletrire, in un quadro sinottico di dubbia utilità, una storia che lutti sanno. Non è cerio il mio scopo deludere fino a tal segno la cortese attenzione dei lettori; e pertanto, in luogo di un'a.nalisi incompleta e sommaria, io cercherò di presentare qualche tratto differenziale, qualche particolarità saliente, che giovi assai meglio a individuare la fisonon1ia di quel movimento politico. Di. qui il mio proposito di limitare il mio ,esame ai presupposti economici del liberalismo, perché mi par di ravvisare in essi il principale impulso dell'evoluzione politica del secolo XIX. Ora è nolo che la dottrina che si propone di spiegare i fatti della storia in generale, mediante cause economiche prende 'nome di materialismo storico; eb0ene, sento il bisogno di affermare in via preliminare che io non sono fautore di questa dottrina, intesa come una fonte di formule valide per tutti i tempi e per tutti i luoghi. Spiegare per esempio, come pur si è tentato, il Cristianesimo con simili formule è un'impresa disperata, incapace di dar buoni fruiti. Falso come cànonc universale d'interpretaZione, il materialismo storico è però l'indice prezioso cli una età circoscritta, cioè proprio di quella età che lo ha espresso. Esso è nato infatti nel secolo XIX, e rappresenta quasi la liberazione scientifica o la astrazione dottrinale delle esperienze storiche più cospicue di quel secolo, che ha visto svolgersi profonde trasformazioni agricole, industriali, commerciali. Non è quindi in omaggio ad astratti criteri storiografici, ina piuttosto ad un'adeguata comprensione dei nessi tra i fatti e le teorie, che io mi propongo di tracciare, nelle linee fondamentali, la genesi economica del liberalismo europeo. Le idee comunemente accolte intorno a questo movimento politico hanno il vizio di essere cti solito troppo generiche : sia che vengano espresse con amplificazioni del concetto astratto di libertà, sia che vengano identificalecol patrimonio patriottico del nostro Risorgimento, sono in ogni caso ben lontane dal significare quel che il liberalismo ha rappresentato nella storia economica, sociale, politica del secolo XIX. Anzi, per noi italiani, l'innesto verificatosi durante il Risorgimento, di due correnti ideali diverse nel lòro motivo originario, benché connesse nella loro azione: Jgiio ·dire quella liberale e quella unitaria, è d'iinpedimenl• a una esalta valutazione dell'una e dell'altra. Gioverà quindi isolarle, anche per meglio intendere la realtà del loro concorso; e cioè esaminare partitamente quel che il liberalismo è st¼lo per forze proprie, nei paesi in cui non si son date implicazioni d'interessi nazionali e unitari; e quel che è divenuto in Italia, per effetto di questa duplicità d'impulsi, e di altre deviazioni, che esamineremo, inerenti a particolari condizioni economicosociali. Sotto il primo aspetto, la sede classica del libelismo è l'Inghilterra, il paese cioè in cui quel movimento ha trovato un assetto nazionale compiuto, e dove il risveglio industriale è stato più intenso e tempestivò. Il liberalismo del secolo XIX - per tacere delle più lontane derivazioni dalla Riforma protestante - è figlio del grande molo industriale, che tien dietro alle numerose invenzioni e applicazioni della scienza e della tecnica. E' qui la sua fondamentale ragione economica, anzi lo spirito di tutta la sua struttura storica, poichè dai centri e dagl' interessi industriali si sviluppa quella sua forma mentis anti-statale, individualistica, liberistica, che si è poi costantemente espressa nelle sue classiche manifestazioni. , Esaminiamo brevemente come ciò sia accaduto. Prima che l'industrialismo divenisse il fattore preponderante dell'economia e della politica mondiale, le forze principali della società e dei governi risiedevano nel regime agricolo. Detentori effettivi del potere erano i grandi proprietari del suolo, i quali svolgevano, in conformità dei loro interessi, una politica cofiservatrice e protezionistica. L'assolutismo regio aveva sì ~imitato molte prerogative dei grandi proprietari, ma non potendo arbitraria111enlespostare il centro degl,'interessi nazionali, aveva dovunque finito col saldare a quell'economia la propria finanza, in modo che tutto il sistema economico veniva' a gravitare intorno all'agricoltura, mentre le industrie e i commerci non formavano che semplici satelliti. Basti qui ricordare che uno dei massimi problemi di quel tempo era costituito dal commercio dei grani, ,e che la voce det proprietari agricoli si faceva valere nelle misure restrittive della libertà di circolazione di quei prodotti, temperate soltanto dagli imperativi della sa/us pubtica. Contro questo lalifondismo semi-feudale insorgono di buon'ora le industrie nascenti. L'accento spiccatamente anlistalale dei nuovi ceti manifaltu- • f , I

I rieri deriva da tutto un complesso di concorrenti fattori. C'è in primo luogo lo sforzo delle nuove aristocrazie del lavoro per scalzare gli ormai invecchiali detentori del potere; c'è poi la necessità, vitale per lo sviluppo delle industrie, di approvvigionare a buon mercalo una sempre più densa popolazione operaia e cittadina non produttrice dei suoi alimenti: quindi si tratta di spezzare il prote,ionismo statale che eleva, 'nell'interesse dei proprietari, il pre,.zo dei generi agricoli. C'è infine una insofferenza i>1sita naturalmente nei ceti industriali contro tutto ciò che è esterna coazione, ingerenza governativa, controllo burocratico. Alle industrie nascenti in condizioni propizie di materiale e di lavoro, è essenziale un regime di libertà, capace di dare un facile ed articolato gioco all'opera della concorrenza, alla selezione delle iniziative, alle capacità individuali. E si badi che io mi riferisco qui ad una fase iniziale dell'industrialismo, quando da una parte, le esigenze intrinseche della produzione non hanno imposto ancora un largo lavoro di coordinamento delle varie imprese e di accentramento capitalistico; e dall'altra, le forze proletarie non sono o sono scarsamente organizzate, di modo che il loro lavoro è corvéable à merci. In queste condizioni, il cl~ssico liberismo economico riesce al doppio risultato di migliorare tecnicamente la produzione e di ridurre il costo al minimo, nell'interesse dei consumatori. Da questo complesso di fattori che ho sommariamente indicato, s'individna la particolare forma mentale del liberalismo: individualista, magari anarcoide in rapporto ai vecchi poteri costituiti; iiduciosa nell'opera dell'iniziativa, del laissezfaire, della concorrenza; intollerante di ogni vincolo protezionista; rispettosa dei beni dei contrib~enti. Essa naturalmente si arricchisce di elementi attinti .alla rivolu~ione francese, rivendicatrice dei diritti 4ell'individuo; del contributo delle scienze e del!~ arti ;liberali largamente coltivate dai nuovi ceti già ricchi ed agiati; e, forte del conquistatò potere economico, essa tende alla conquista del potere politico, impostando la lotta secondo quelle ben note forme costituzionali e statutarie, che son tanta parte della storia politica europea durante il secolo XIX. ' ' li libe,alismo finisce col trionfare; dove più, ,et ove meno rapidamente e compiutamente; dove ,.er forze autonome, dove per contraccolpi esterni o per concorso d'impulsi specificamente nazionali e unitari. Ma il suo trionfo segna in pari tempo la . -data def suo decadimentO'. Anche qui, per un comj)lesso molto ricco di·ragioni e di occasioni.-Bisogna innanzi tutto considerare che l'esercizio del l)Otere ha naturalmente un'efficacia conservatrice e >t1agari reazionaria. I liberali' dell'ieri, una volta ,.adroni dello Stato erano per necessità por~i a gettar molta acqua sui loro bòllori antistatali ; e quel certo fervore anarcoide, che stava cosi bene sui banchi dell'opposizione, doveva cedere, aimeno in gran parte, alle fatali esigenze dell'amministrazione e della burocrazia. Si aggiungano i compromessi, anche quelli ineviÌabi1i per chi detiene il potere, con le altre forze -economico-politiché tuttora influenti: in particola?' modo coi proprietari della terra, dominatori delVieri, che, se pure scalzati dal primo posto, conservavano un'importanza tutt'altro clÌe trascurabile. Anzi, l'accrescimento sempre più intenso 'della popolazione industriale7' l'esorbitante urbanesimo, ponevano in certo modo i ceti industriali alla mercé dei detentori della terra: donde la necessità, -per quelli, di largheggiare in concessioni, di convertiri gli antichi nemici in nuovi alleati. L'azione ·sul lib'eralismo di questo concorso di un ceto di .proprietari, per sua natura conservatore, fu assai ,grave; specialmenie in· quei paesi, come l'Inghilterra e più tardi la Germania, in cui il movimento industriale fu più intenso, e, attraendo a sè tutte le forze vive del paese, lasciò i'economia agricola 11ell'arretrato stadio del latilonùismo semi-feudale', Si verificò teosì in questi paesi una giustapposizione ,di stratificazioni storiche diverse ; i nuovissimi ceti industriali divisero il potere col vecchio Landlordismo e 'Con il Junkerismo, sua propaggine. Il miscuglio prese, com'era naturale, la tinta più forte: fu conservatore, imperialista, militarista. Com'era possibile una tale alleanza? Senza una trasformazione radicale, insita allo sviluppo stesso delle industrie, sarebbe stata impossibile una fur sione di elementi tanto eterogenei. Doveva esserci, e in effetti ci fu, qualcosa che dall'interno intaccasse i centri vitali del 'iiberalismo, p~r detenninaì·e nei suoj fautori la dedizione a un programma conservatore. Ora, come ho già detto, il centro vivo della mentalità politica liberale era nelle industrie, an,zi in quella forma incipiente della produzione industriale, in cui le nuove forze si esplicavano con una pluralità non coordinata d'impulsi, con azioni isolate, non ancora soggette alla doppia forza centripeta del capitale e del lavoro. Ma, nella seconda ._ metà del secolo XIX, questo primo stadio fu quasi dovunque- sorpassato, per un'azione concorrente dei due massimi fattori in gioco. Da una parte, infatti, la piccola industria frammèntaria, isolata, chiusa nell'azienda quasi familiare, divenne inadeguata al progresso della tecnica e allo sviluppo del capitalismo. Si determinò quindi la necessità di coordinare, di organizzare, di accentrare· si crearono i grandì trusts, nei quali le ragioni ~utonome delle singole aziende furono sacrificate. L'industrialismo si fece monopolista, si appoggiò sempre più al sostegno dello Stato per far leva all'esterno, sconfessando cosi la precedente politica liberista. Non piè, concorrenza, ma lotte l..lA. RIVOl.lUZIO)'l.E l.tlBERAI.tE di accaparramento dei mercati, di predominio commerciale; non più selezione naturale, ma assorbimento, nei trusts, degli 'organismi poco vitali, ormai necessarie pedine nel gioco monopolistico; non più individualismo, ma sforzo collettivo, anonimo, e, per cosi dire, socialismo dell'alta industria e dell'alta finanza. Per vie opposte, intanto, a una forma analoga di organicismo mirava il movimento proletari9. Nel regime della lihertà industriale, l'operaio era sacrificato. La circolazione senza 1,;ontrolli, senza limiti. senza garanzie, del lavoro, tendeva a ridurre i salari al minimo indispensabile alla vita materiale ; la merce-uomo entrava neH'ingranaggio della produzione con la più completa passività, con la totale dedizione di ogni autonomia e dignità umana. Ma, a misura clic le industrie si organizzano ed accentrauo in zone ristrette grandi masse operaie, anche .queste, dal loro canto, trovano l'opportunità di coalizzarsi. Il movimento socialista s'intensifica per la doppia spinta del basso e dell'alto; ed a sua volta reagisce sui trusts padronali, imponendo condizioni, garenzie, limiti. Nasce, ed in pochi anni si sviluppa largamente una legislazione sociale che attribuisce allo Stato un'ingerenza senza precedenti sulle forze produttive del paese. Attraverso la lotta . di classe, il socialismo in fondo non fa che accelerare quel ),JIOto che era già insito alla tecnica inòustriale e finanziaria verso la dil,atazione dell'azienda, verso ·n regime impersonale, collettivo, anonimo della produzione. Entriamo così nella fase storica nota col nome di socialismo di Stato. Da quel che ho detto, risulta che sarebbe fallace considerarla come risultato del solo impulso delle forze proletarie; essa deriva egualmente da questo e dall'opposto impulso delle organizzazioni padronali, moventi alla conquista dello Stato. La lotta dei due fattori in gioco non ha per effetto una reciproca elisione, anzi raccoglie le forze dei contendenti nel centro della comune inserzione: '10 Stato. Questo, giovandosi della doppia spinta, dall'alto e dal basso, estende progressivamente il s.uo raggio di azione: promuove volta a volta una legislazione sociale che tiene in iscacco gl'imprenditori e un protezionismo che alimenta i - trusts industriali; inoltre assume nell'interesse, 9ra dell'uno ora dell'altro avversario,_ la gestione di~ retta o il più largo controllo o il finanziamento di un numero sempre crescente di imprese; e riesce. generalmente a una forma magari ibrida di compromesso tra le forze in lizza a cui a torto si è dato l'epiteto spregiativo di plutocrazia demagogica. Si tratta non di degenerazioni od arbitrii-individuali, ma di necessità prammatiche. E' lecito magari dolersene e scandalizzarsene, ma ciò non toglie che siano momenti ~on eliminabili dell'evoluzione economica. Collocandoci su questo terreno realistico non possiamo disconoscere che il liberalismo sia stato messo in soffitta dal socialismo di Stato, che ha assottigliato poco per volta tutte le classiche libertà; ha sostituito quasi dovunque all'attività individuale· e rapsodica una burocrazia accentratrice (non solo nl!'gli uffici pubblici ma nelle stesse aziende pri-. vate); ha suscitato insieme, anche contro la politica estera del liberalismo fondata sull'autonomia dei popoli, le forze antitetiche del nazionalismo e dell'internazionalismo. Gli storici partiti liberali si son trovati nella necessità, pur di non perdere qualunque base d'interessi, di convertirsi a un conservatorismo sempre più accentuato, la nuova organizzazione industriale, nata infatti con scopo di conquista e di espansione, aveva bisogno di uno Stato forte, militarmente agguerrito verso t'esterno; e capace, all'interno, di tenere in soggezione i cittadini. Tramonta, quindi, la vecchia politica tanto-scrupolosa della 1ibertà degl'individui, tinto rispettosa (magal'i per ipocrisia!) degl'interessi dei contribuenti; le ragioni 'degl'individui sono sommers,e nel gorgo anonimo della collettività. Il liberalismo minaccia dunque di estinguersi? di essere travolto dalla doppia azione plutocratica e democratica, che tende a modellare la società secondo ,~ diverso ideale di'vita collettiva? Prinul"di rispondere a questa domanda, che oggi si fanno con perplessità quanti hanno tuttora viva coscienza dell'individualismo liberale, desidero accennare brevemente alcuni tratti differenziali del liberalismo italiano. lo ho tracciato fin qui la nuda linea parabolica del movimento 1 liberale europeo, escludendo di propositto tutte quelle complicazioni secondarie che hanno, nei diversi paesi, diversamente sviluppato quella linea. Ora, in Italia, l'impulso dei fattori economici del liberalismo è stato più fioco e in un certo senso deviato; ma d'altra parte, a compensare questa deficienza, si è determinato il concorso propizio della grande passione patriottica del nostro risorgimento. li risveglio industriale in Italia è stato tardivo, in confronto di molti altri paesi: la deficienza delle materie prime, la scarsezza degli sbocchi commerciali, la servitù politica fatalmente causa di servitù economica, ci ·hanno posto, inizialmente, in condizioni d'inferiorità verso i popoli meglio agguerriti. E' avveriuto così che un grande mévimento• inètustriale si sia potuto verificare tra noi soltanto quando esso era altrove già molti progredito ;- e che, per sanare l'originaria deficienza, esso abbia dovuto compiersi col concorso o almeno con la protezione dello Stato In questo modo, è venuto ad attenuarsi quel forte accento individualistico ed autonomistico che, in Inghilterra per es.empio, era dato da un atteggiamento del tutto spontaneo delle nuove élites borghesi. • lo non dico proprio che sia mancato un liberalismo a base industriale; ma nell'economia generale delle forze in prevalenza agricola di tutta la nazione, esso no'n ha potuto dare una fisonomia decisamente sua all'insieme. Invece, nel maggior numero delle regioni italiane, il reclutamento liberale è stato fatto nel ceto dei proprietari della terra. Qucst' affermazione può colpire a prima vista come una stranezza, perchè giustamente si pensa che, so v'è un ceto essenzialmente conservatore è proprio quello dei proprietari. Ma l'apparente stranezza scompare se ci trasferiamo col pensiero ai primi decenni dell'ottocento; se ricordiamo come tra i tanti mali dell'invasione francese nell'età napoleonica, veni~se a noi il gran bene dell'eversione degli ultimi residui tenaci ciel regime feudale. E' noto clic uno dei pi(1 grandi risultati della rivoluzione francese, anzi il maggiore di tutti, sia stato la trasformazione dell'economia rurale. Con l'espropriare i beni dei nobili, degli emigrati, degli ecc1esiastici, e col venderli ai contadini, i capi della rivoluzione ottenevano l'immenso vantaggio di cointeressare al nuovo ordine un grande numero di cittadini e di accelerare quella selezione del terzo stato che, già iniziatasi sotto l'assolutismo, doveva essere il più saldo presidio di un regime di libertà. E la propaganda rivoluzionaria, sconfinando ben presto fuori della Francia, fece specialmente presa presso quelle nazioni che ai;evano una economia a base agricola, come l'ltalia, la Germania del sud, i paesi renani, mentre trovò ostacoli insormontabili in Inghilterra, non tanto per cautele di governo o per la posizione insulare, quanto perchè l'avviamento, decisamente industriale di quel paese aveva lasciato quasi in abbandono la terra e. tolto ogni presa a una rivoluzione agricola, cointeressante ·una grande massa di popolazione agi' « immortali principii , francesi. Le due forme tipiche di liberalismo si delineano così fin dal principio. Ordunque in Italia con l'abolizione della feudalità, col frazionarsi della terra, conseguenza della sua libera disponibilità, con la sua più intensa valorizzazjone agricola, commerciale, industriale - anch'essa dipendente dallo stesso fatto - venne a crearsi un nuovo ceto di proprietari, un'agiata borghesia operosa ed aperta alle ·idee nuove, che formò poi il grosso dell'esercito liberale. È questa borghesia infatti che, svegliata a un'alta coscienza di sé al contatto delle idealità francesi, mirò di buon'ora alla conquista del potere politico; e dopo molti, vani tentativ_i di compromessi coi governi locali per raggiungere pacificamente l'intento, si lasciò trascinare, pur riluttante, nelle vie della rivoluzione. ' Questo dunque differenzia in primo luog'f il liberal.ismo nostrano da quello inglese: chè l'economia industriale e l'ec.onomia agricola esercitano, presso l'uno e presso Paltro, una diversa e quasi un' opposta azione. Mentre in Inghilterra le forze liberali s' irradiano dei maggiori centri lnanifatturieri; e la stessa rapidità dell'evoluzione industriale lascia intatto il vecchio latilondismo; da noi invece la prevalenza almeno iniziale degl'interessi agricoli nella generale economia del paese determina di buon' ora una profonda trasformazione del sistema fondiario, creatrice di un ceto borghese di piccoli e medi proprietari. ' Ma il liberalismo di questo ceto non puo essere che del tutto peculiare, incomparabile con quello dei ceti industriali. V'è senza dubbio nel proprietario un notevole spirito individualistico, un'insofferenza di esterne limitazioni ai suoi diritti, una ripugnanza verso ogni associazione corporativa. Accresce questo individualismo il naturale decentramento della distribuzione demografica; ne accentua il carattere liberale la cultura, l'esercizio delle arti così dette liberali, largamente coltivate in un ceto medio e agiato. Si aggiunga ancora l'efficacia che, sulia mentalità del pro·prietario, èsercitano il legalismo e il costituzionalismo: cioè il possesso di garanzie statutarie dei propri diritti, di fronte ad ogni arbitrio gover~ativo. E, da tutto questo complesso di elementi, ci si spiegherà la larga conversione di questo ceto alle idealità liberali, anche straniere. Ma il proprietario è liberale fi1Jo a un certo punto: egli ama il potere, purché la conquista di esso non gli costi troppo, non gli minacci, per esempio, quella relativa sicurezza economica, che anche un governo assolutista non rifiuta di accordargli. Inoltre, egli è attaccato all'idea dell'ordine, ama la tranquillità come chi ha m.olto'al sole; in ultima istanza, sente di avere il suo massimo pfesidio ne)lo stato e per nulla si arrischierà d'intaccarne la salda compagine. Ecco 'altrettanti contrappesi conservatori al liberalismo dei\proprietari, di quel ceto che sul principio dell'otio,cent6 vediamo agitarsi per ottenere, dal riluttante assolutismo della restaurazione, carte e costituzioni politiche, e dare le più numerose reclute alle società segrete. Orbene, l'ambiguità di natura che ho segnalato, l'oscillazione continua tra le opposte tendenze liberali""e conservatrici, si riflettono sui moti economico-politici del nostro Risorgimento e danno ad essi una particolare !isonomia. Ciò che è s_embratoalle storie patriottiche e romantich,e relative a quel periodo una generale tiepidezza ed indifferenza dei ceti medi - in nieno contrasto con l'ardore e l'eroismo di pochi individui - di fronte ai grandi problemi nazionali_, si palesa invece a una considerazione più approfondita come un penoso contrasto d'impulsi e di fini. Io ho avuto occasione di studiare in particolar 7 modo (1) i moti rivoluzionari nelle province meri 7 dionali, in regioni cioè eminentemente agricole, dove l'aspetto che ho posto in rilievo del liberalismo nostrano si presenta come più tipico. Preodiamo la rivoluzione del 1848, quella in cui si accentra in un sol fòco lo sparso insurrezioniSlnQ del trentennio precedente; guardiamola fuori di ogni complicazione neo-guelfa e federalista, nella sua elementare linea economica. Troviamo all'inizio forti nuclei di proprietari nella capitale e nelle province, che, jnscenando una.sommossa popolare, chiedono ed ottengono, dalla monarchia impaurita, una costituzione. Con la rapida conquista del potere, con la creazione di una guardia nazionale, presidio delle nuove libertà, essi credono di av& risoluto il problema interno e di poter preparare la guerra esterna, contro l'Austria. Invece, essi non hanno fatto che suscitare un'incendio, che minaccia di bruciarli per primi. Perché, una volta conquistate alla rivoluzione le .masse, queste tenjano di realizzare fini propri, in contraddizione con quelli dei proprietari agitatori. Nellé campagne in particolar modo, dove c'è una ragione permanente di disordine sociale, ~ostituita dalla presenza di un vasto proletariato agricolo aspirante al possesso della terra, la parola costituzione viene intesa nel. significato più aperto al popolo, come appropriazione delle terre dei signori. Ed ecco, dunque, che la rivoluzione preparata da questi ultimi nel proprio interesse, tende invece a comprometterli irrimediabilmente. Le manifestazioni popolari assumono fin d·'allora una insegna comunistica, che viene anche fugacemente agitata nelle città, per opera di un ristretto artigianato locale. Quivi però per la mancanza di una larga organizzazione industriale, tali agitaziorn sono di secondaria importanza; ben altrimenti pericolose quelle delle campagne, che si prolungano per vari mesi, dopo che l'insurrezione è stata domata nella capitale. Risulta di qui la precaria situazione dei liberali, i quali finiscono col trovarsi stretti tra due fuochi: tra l'assolutismo da una parte, che, dopo il primo sgomento riordina le sue file e ricomincia ad attrarre un sempre maggior numero di proprietari, ai quali può garentire almeno i propri diritti sulla terra, compromessi dalla rivoluzione; e tra la rivolta pro.letaria dall'altro lato, che con l'espropriazione della terra travolse le promesse originarie del movimento iiberale. Ecco la causa delle molte delezioni, che scompaginano in breve tempo i quadri del liberalismo; ecco il perchè di quelle rapide conversioni di fronte, per cui la guardia nazionale, che doveva essere presidio di libertà, si pone invece all'avanguardia della reazione in molte province, nel t~ntativo di arginare la marea proletaria. Persino i capi del partito liberale appaiono nel primo momento disorientati: la percezione degl'interessi li attrae verso i conservatori; quello di generose idealità verso la rivoluzione, che però minaccia gl'interessi del loro ceto. Per questo riguardo, è. molto significativa una breve lette,ra scritta da Carlo Poerio al fratello Alessandro, proprio il 15 maggio, nel giorno p'iù funesto alla libertà napoletana; ebbene, in essa veniva formulatò il voto che il governo riuscisse a dominare la sommossa, - quella sommossa che doveva passare alla storia come la più eroica ed infelice pagina del liberalismo napoletano! lv\a bisogna nel tempo stesso riconoscere, che passata la prima ora d( disorientamento, àlmeno i leàders della rivoluzione seppero ritrovare il loro posto, e, consci che l'unica via di salvezza contro l'ormai trionfante assolutismo fosse nella rivolta popolare delle campagne, seppero sacrificare gl 'interessi padronali propri e del proprio ceto, ponendosi a capo di quel movimento, senza ripudiarne le estreme conseguenze, che pure doveva;o ad essi apparire come una degenerazione dell'iniziale impulso rivoluzionario. È forse qui la massima elevazione del liberalismo di Carlo Poerio, di SiJv•io Spaventa e dei loro migliori compagni. Ma nell'economia generale di un grande movimento storico, l'eroismo eccezionale di pochi individui brilla solitario e nel contrasto non fa che accentuare il distacco della massa. E questa ci rivela nel suo insieme un instabile -equilibrio tra opposti interessi liberali e conservatori, con prevalenza finale degli ultimi e quindi col finale ripu- ,dio di ogni velleità rivoluzionaria. Il carattere agrario del liberalismn nostrano si riflette cosi nell'inconsistenza delle sue maggiori manifestazioni, e infine nella forza i_nvincibile dei suoi interessi conservatori. Non per nulla Glad-. stone, meravigliandosi che i capi del nostro liberalismo fossero perseguitati dai governi locali, affermava che in Inghilterra essi avrebbero potuto sedere nella Camera dei Lordi. E, data questa sua struttura, il liberalismo italiano non avrebbe forse trionfato, pe'r forze proprie, della resistenza dei rea.zionari, senza il provvidenziale soccorso della grande passìone nazionale, che ne vinse la· riluttanze, lo arrestò- nei ripiegamenti, gli ritemprò le forze per nuovi slanci in avanti. In presenza del gran~e problema dell'indipendenza dallo straniero, dell'unificazione nazionale, il movimentO liberale assunse una compattezza, un rilievo, che per sè non aveva: l'insegna dellà libertà divenne concreta, tangibile, quando si trattò di cacciàr via dalle nostre terre l'Austria e i suoi clienti; ed anche il languido costituzionalismo si rav1Hvò quando apparve esso pure simbolo e segnacolo di lotta, e insieme, mezzo di generale livellamento della viia pubblica di tutte le regioni di Italia, in servizio dell'opera di unificazione. (1) Si veda il mio volume: Il pensiero jJolftt"co me,·i• dfonale nei secoli .KV.l[l e )(IX, Bari, Iaterza, 192·2.

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