La Rivoluzione Liberale - anno I - n. 2 - 19 febbraio 1922

.. 6 e delle abitudini. Insomma l'atto di cambiare e quindi di istituire un Governo, verrebbe ad acquistare ciò che nella sciagurata pratica del nostro Parlamento ha perduto": ùi serietà. Certamente l'attuazione pratica cli un'idea come questa richiede una più precisa e circostanziata disamina. Bisognerebbe Vedere se proprio la procedura formale legislativa convenisse a provvedin1enti di tal natura, o se non fosse il caso di stabilire un processo .sui generis. Ma ìasciatno, per ora, l'idea greggia com'è. Piuttosto preoccupiamoci della rispettabile opinione di quella parte che nella riforma potrebbe scorgere una inquietante sfigurazione del potere regio. In pratica la competenza del Re rimarrebbe tal quale. La possibilità di uno scontro fra la volontà della Camera leg·iferante de imperio, e quella del Re, nell'atto di nominare o di accogliere le dimissioni del Ministero, sarebbero sostanzialmente quelle che ora si presentano per effetto di un voto politico rlella Camera. Teoricamente il Re avrebbe nel nuovo sistema, come nell'at- , tuale, la facoltà di aprire un conflitto con la Camera, rinviandole un Ministero formalmente destituito, come or.a un Ministero destituito da un voto politico; i11fineavrebbe sempre il potere sommo della provocatio ad popolum. Soltanto è vero che una simile riforma sarebbe difficile accordare con la lettera dello Statuto. Ma tutta la pratica costituzionale da cui la riforma procederebbe, è stata in realtà. una deroga al Patto. Infatti quando Sonnino pensò di cambiar sistema di governo nel senso accennato più sopra, disse semplicemente: torniamo allo Statuto. Ora, è facil cosa, ngn lo nego, che una proposta come la mia assuma colore demagogico: ma alla fine non si tratterebbe che di disciplinare positivamente una norma elaborata dalla consuetudine costante di mezzo secolo, e di cui la Monarchia stessa sarebbe stata la squisita istitutrice. UBALDO ORMENTINI. CRISIMORALE ECRISIPOLITICA l. - Il libro di Adriano Tilgher (1), ap- • incontestabilmente serio e e occasione al critico sereno una moda ormai dominante dopo guer-ra che bisogna com- ~nergia anche se manifestaa come tutte le mode. Il gusto :ratura sociale apocalittica e aacciosa di divini fulmini, pre- - _ 0 -~he decadenze e di spav,entosi ,tramonti ha sostituito, senza misura, l'esame spassionato dei problemi sociali, lo studio modesto e saggio degli elementi della storia politica contemporanea, l'indagine· sorretta da cultura tecnica precisa e volta ad obbietti determinati. Le smanie di una dilettantesca politica estera che per quattro anni concesse ad ognuno i più fantastici sogni e i piani più assurdi, si traducono - esausta la fantasia - in stanche visioni sintetiche del più banale sociologismo. Le individuali preoccupazioni, le torbide crisi dei singoli si vengono fotografando in costruzioni obbiettive -artificiosamente drammatiche. Nessuno più è disposto a studiare con saggezza i problemi singoli dell'azione e .della cultura politica. Bisogna parlare in ogni luogo di una crisi mondiale, del crollo di un'epoca, della morte di una civiltà: risalire dal fatto singolo, dal sentimento solitario, alla descrizione di tutto l'orbe morale e sociale. L'epidemia (cui non è estraneo il diffondersi superficialissimo di una pseudo-terminologia marxista) è irresistibile: noi stessi, avversari, ne diventiamo le vittime se invece di correre rapidi, come vorremmo, ai problemi di tecnica speciale, siamo indotti a salire parimenti in cattedra per opporci al1' apocalissi. 2. - Adriano Tilgher è scrittore efficace e serio pensatore. Il suo pessimismo ha forti spunti di profondità; individualmente è giustificabile in modo perfett9, è la sua forza perchè lo fa pensoso della presente realtà; estraneo a tutte le gioie massicce e ai pesanti ottimismi dei cuori allegri e felici. Egli è lo storico più sicuro della presente crisi morale e culturale. Capace di ;isalire alle intime ragioni filosofiche della storia, perfettamente informato sulle ultime correnti di pensiero, acutissimo nel cogliere le relazioni tra i fenomeni letterari, politici, speculativi, nell'esaminarne la verace sostanza spirituale sotto le incertezze sentimentali e le sfumature più generiche ha saputo con le Voci del tempo e con La crisi mondiale preparare per i posteri una valutazione preventiva notevolissima della nostra cultura e dei nostri stati d'animo. Fallisce la sua critica quandojn questa letteratura, necessariamente monografica e ta- (1) ADRIANO TILGHER: La crisi mondiale. Bologna, Zanichelli, 1921. agi 1a uH. ~IVOI.lU.Z:IOfiE lll13ERH.llE lora frammentaria, intervengono preoccupazioni costrutti ve, schemi troppo rigidi, pretese politiche. Il pessimismo non vale più. Diventa un peso morto, un ostacolo al realismo politico. I programmi che nascono da stati sentimentali come questo del Tilgher, che s'è descritto, sono tutti viziati da un originario intellettualismo e dalla mancanza di un'esperienza diretta dellapraxis politica. Corrono tutti alla politic,i estera per liberarsi dai vincoli della realtà, non sanho scorgere troppo ,bene [e connessioni tra storia mondiale e storia nazionale per amore dell'impreciso che pomposamente intitolano: visione geuerale. 3. - Esiste una crisi della civiltà capitalistica che in qualche modo si possa pensare , risolta e conclusa in un tramonto del capitatfsmo ·prossimo o imminente? Bisogna stare attenti e non confondere i termini obbietti vi della storia con quelli del demag.-ogismo politico e, quando i termini, per molte ragioni, sono gli stessi, tener bene separati i due sensi. Il tramonto del capitalismo, previsto e predicato dal Marx, è un mito utilissimo, una delle più forti molle della storia moderna ma sarebbe ingenuo discuterne come cli una verità scientifica o di un fatto seri:J. Invero la storia cbnosce processi, esi'genz~, risoluzioni di esigenzt!, n1a ignora i subitanei tramonti, le aurore nate da un ji.at. La ci viltà capitalistica preparata dai Comuni, sorta decisamente in Inghilterra, affermatasi negli ultimi decenni, in forma più o meno progredita, in tutto il mondo ci_vile è la civiltà del rispannio, delle intraprese che hanno bisogno per vivere di un c,~pitale mobile. I paesi più arretrati nella civiltà capitalistica erano appunto negli anni scorsi quelli dei sistemi di attività e di produzione anacronistici: la Russia, incapace cli liberarsi dal latifondo, l'Austria-Ungheria che teneva al potere la classe dei latifondisti ungheresi. L'Italia compensava l'ana-,,_ cronisrno del Mezzogiorno sforzandosi di creare attraverso l'emigrazione, il commercio, e tentativi ipdustriali addirittura imprudenti, una classe capitalistica. ideale che non ha po$a i miti e i programmi che la fraintendono e la negano e intanto trascinano per forza d'illusione anche le forze più riluttanti e ribelli a collaboran-i.· A chi segna palingenesi socialistiche il capitalismo moderno oppone insuperabili esigenze storiche e pratiche: gli operai, diventati coscienti cli tutta la loro forza, attraverso le rivendicazioni- di programmi inattuabili ma idealmente intransigenti e nobili, cozzandovi contro si fanno capaci di soddisfarle'; e divengono degni prosecutori del compito assoluto che il capitalismo i!:)esorabile pone a chi vuol guidare la storia mo.derna. ~ Così la crisi econo111icaattraverso una vigorosa dialettica diventa crisi politica: si chiariscono i termini e si esprimono in forze concrete che il politico concilia e svolge secondo la propria saggezza. Dall'incertezza sentinfontale scaturiscono ormai valori determinati e f.atti che entrano nella storia. , Questo processo, non mai abbastanza meditato, insegna (anche a noi uomini di lotta) la necessaria serenità, che al di sopra cli pessimismi e ottimismi è il solo atteggiamento realistico dello storico e del politico. 5. - Ma al Tilgher la considerazione degli stati d'animo e la palingenetica conclusione suggeriscono invece esili costruzioni di politica generale e avventati piani di politica estera. Un/ odio indomabile per la mentalità anglo-sassone gli fa scorgere nell'Inghilterra la sola responsabile della guerra (mentre il suo realismo filosofico gli insegna agevolmente che 110·11 esistono responsabili di un fatto universale come la guerra europea) e negli Stati U11iti il degno complice del dopo guerra, legati tutti e due per gretto calcolo con l'imperialismo francese. Concetti manifestamente esclusivistici an~l1e se contengono non poca verità. Contro . codeste nazioni capitalistiche Tilg~er invoca il blocco delle nazioni proletarie dell'Europa centrale e orientale (anche vi comprende il lontano Giappone!) e chiede l'esplicita adesione dell'Italia. In questa drammatica visione appena superficialmente interessante, il Tilgher dimentica le conclusioni catastrofiche e vi scorge per un momento, schematizzata la storia dei nuovi anni. Anzi una sua osservazione (pag. 102) sul valore finale , della rivoluzione che dovrebbEj dare una patria alle plebi che non l'avevano è davvero potente. Ma per riuscire valida doveva essere la sola ~dea o l'idea centrale del libro; non un solitario, dimenticato frammento di cui sembra che !;autore ignori il significato. • L'Italia non può aderire al blocco delle nazioni proletarie, perchè le nazioni proletarie non esistono e la politica si fa con ben altro realismo. L'Italia deve aderire, non politica.mente, ma economicamente, senza pregiudiziali esclusioni all'Europa (e all'America) op~rosa dalla quale il suo sforzo a ricostruirsi, ad afferrnarsi1 a salvarsi finanziariamente ed ccon<l!nicamente, può essere &iutato. La sua deve essére. una politica cli pace: benevola verso Germania e Russia come verso Inghilterra e· Stati Uniti. Falliti i piani giuridici e i .sogni ginsnaturaJistici del w·ilsonismo, l'Europa è oggi di fatto una Società delle Nazioni (o s'avvia ad esserlo, nonostante la Francia); una collaborazione per vincere la miseria, per superare quattro anni di lotta dolorosa e necessaria. Perciò la polemica del Tilgher contro l'int!;!mperanza dei nazionalisti e le follie dell'estetismo politico e contro il pagano giovandarchismo è pregevole e, per noi, interamente accettabile. Tutto il libro poi ha il merito cli far meditare sui rapporti tra storia ìnternazionale e storia nazionale, sebbene le interpretazioni che se ne danno siano poi dal punto di vista nostro da respingersi, come s'è detto. La guerra coincise nel suo valore politicG coù profonde crisi cli formazione nello spirit& dei vari Stati. Crisi di Stati, più che di Nazioni: l'ideologia nazionale è inadeguata alla realtà moderna. Le lotte e le contraddizioni della vita nostra si fondano su due esigenze di opposta natura che contemporaneamente si affacciano e generano soluzioni antitetiche le quali- potranno essere conciliate soltanto in una fase finalé che sfugge alla visione de_i pratici dell'ora. L'opera della civiltà moderna esige organi superiori in cui l'azione del singolo sia inquadrata e spontaneamente si organizzi: lo Stato moderno è diventato il termine essenziale della vita sociale. Ma dall'interno premono esigenze popolari. democratiche, che negano insième le pretese del nazionalismo e le invadenze dello Stato burocratico e protezionista. Confusamente questi sentimenti nella loro ampiezza europea ebbero espressione nel mito della Società delle Nazioni e talvolta persi~o. nelle aspettazioni bolsceviche. Nei singoli organismi (attraverso quante esperienze si vogliano di economia associata e di turatismo dilapidatore del pubblic◊s erario) si preparn l'affermazione dello Stato ètico come Stato liberale e il trionfo dell'iniziativa nell'unità. (Regime parlamentare reso possibile dall'autonomia e dal decentramento che vi si connettono necessariamente, come_ propo,ne il Tilgher). Anche questa è una forma in cui s'esprime l'esigenza dell'operosa pace economica a cui l'Europa, non ancora votata al tramonto, anela. PIERO GOBETTI.1 La logica a cui obbedisce questa civiltà è, come osserva il Tilgher, l'attività assoluta che ha fede soltanto in. se medesima. L'impulso le viene dalla superpopolazione, la forza consiste nella crescente capacità produttiva e nelle inesauribili invenzioni tecniche, la direzione dello svolgimento è data dai bisogni sempre nuovi. Allo scoppiare della guerra europea questa civiltà era appena sul nascere. La borghesia che parew rappresentarla risale alla rjvoluzione francese soltanto di nome: di fatto una vera borghesia in Italia, per esempio, sta appena nascendo, a fatica. La civiltà capitalistica del resto è al disopra delle classi, vuole l'opera di tutte le classi che vi partecipano e la creano concordi pur lottando tra sè inesorabili, ostili sino a giurarsi reciproca sopraffazione. La civiltà capitalistica PRESLiPPOSTIECONOMICI DELLIBERALISMO è una realtà obbiettiva che non può morire per un peccato d'orgoglio: l'umiltà la abbasserebbe, l'orgoglio coincide con la sua legge di vita. La guerra europea ne è stata la crisi di esuberanza, non di tramonto, e il Tilgher stesso è costretto a confessarlo quando guarda all'operosità che si riprende nell'Impero britannico e negli Stati Uniti. Non· si dimentichi che appena in questi anni viene sorgendo un capitalismo russo e che in tutta Europa alla momentanea stasi dell'industria sta sostituendosi un'organizzazione capitalistica (cultura intensiva) della proprietà agraria. . 4. - Le difficoltà e le oscurità présenti sono una crisi momentanea che agevolmente superiamo R_urtra incertezze e contradizioni. E certo come tutte le crisi anche questa non è da considerarsi con leggerezza, ma vuole gli sforzi operosi dei popoli e l'acume politico dei governanti. Chi la studi con libertà, senza desiderio di sintesi frettolose, vi scorge forme ed a spetti che ne agevolano e chiariscono Jacomprensione. Importa inizialmente clis,tinguere una crisi morale, una crisi economica, una crisi ·politica. La crisi morale è descritta con forza decisiva dal Tilgher e alla sua visione degli stati d'animo dell'Italia dopo la guerra (dal sensualismo allo scetticismo) poco resta da aggiungere se non forse una più precisa determinazione cronologica che limiti quei fatti nel loro valore di clocum~nti di psicologia durante le aspettazioni messianiche dei primi mesi dopo la vittoria che coN,dussero alle crisi del dannunzianismo e del fascismo. Oggi dalle preoccupazioni colte dal Tilgher siamo liberi, e i residui hanno altrove il loro centro ideale intorno a cui possono essere valutati. La crisi economica si viene superando più a stento, dopo lotte operose e feroci tra i vari elementi della produzione industriale, e proprio queste lotte hanno potuto suscitare in taluni l'illusione di pericoli mortali, il pensiero di un esaurimento definitivo. Ma l'intima natura della civiltà capitalistica è in questa ampiezza cli lotta; sua diretta funzione è suscitare con fecondità La pretesa di esaurire in un articolo un tema così vasto come quello del movimento liberale nel secolo XIX può sembrare rischiosa: nel caso più favorevole si corre il pericolo d'ischeletrire, in un quadro sinottico di dubbia utilità, una storia che lutti sanno. Non è cerio il mio scopo deludere fino a tal segno la cortese attenzione dei lettori; e pertanto, in luogo di un'a.nalisi incompleta e sommaria, io cercherò di presentare qualche tratto differenziale, qualche particolarità saliente, che giovi assai meglio a individuare la fisonon1ia di quel movimento politico. Di. qui il mio proposito di limitare il mio ,esame ai presupposti economici del liberalismo, perché mi par di ravvisare in essi il principale impulso dell'evoluzione politica del secolo XIX. Ora è nolo che la dottrina che si propone di spiegare i fatti della storia in generale, mediante cause economiche prende 'nome di materialismo storico; eb0ene, sento il bisogno di affermare in via preliminare che io non sono fautore di questa dottrina, intesa come una fonte di formule valide per tutti i tempi e per tutti i luoghi. Spiegare per esempio, come pur si è tentato, il Cristianesimo con simili formule è un'impresa disperata, incapace di dar buoni fruiti. Falso come cànonc universale d'interpretaZione, il materialismo storico è però l'indice prezioso cli una età circoscritta, cioè proprio di quella età che lo ha espresso. Esso è nato infatti nel secolo XIX, e rappresenta quasi la liberazione scientifica o la astrazione dottrinale delle esperienze storiche più cospicue di quel secolo, che ha visto svolgersi profonde trasformazioni agricole, industriali, commerciali. Non è quindi in omaggio ad astratti criteri storiografici, ina piuttosto ad un'adeguata comprensione dei nessi tra i fatti e le teorie, che io mi propongo di tracciare, nelle linee fondamentali, la genesi economica del liberalismo europeo. Le idee comunemente accolte intorno a questo movimento politico hanno il vizio di essere cti solito troppo generiche : sia che vengano espresse con amplificazioni del concetto astratto di libertà, sia che vengano identificalecol patrimonio patriottico del nostro Risorgimento, sono in ogni caso ben lontane dal significare quel che il liberalismo ha rappresentato nella storia economica, sociale, politica del secolo XIX. Anzi, per noi italiani, l'innesto verificatosi durante il Risorgimento, di due correnti ideali diverse nel lòro motivo originario, benché connesse nella loro azione: Jgiio ·dire quella liberale e quella unitaria, è d'iinpedimenl• a una esalta valutazione dell'una e dell'altra. Gioverà quindi isolarle, anche per meglio intendere la realtà del loro concorso; e cioè esaminare partitamente quel che il liberalismo è st¼lo per forze proprie, nei paesi in cui non si son date implicazioni d'interessi nazionali e unitari; e quel che è divenuto in Italia, per effetto di questa duplicità d'impulsi, e di altre deviazioni, che esamineremo, inerenti a particolari condizioni economicosociali. Sotto il primo aspetto, la sede classica del libelismo è l'Inghilterra, il paese cioè in cui quel movimento ha trovato un assetto nazionale compiuto, e dove il risveglio industriale è stato più intenso e tempestivò. Il liberalismo del secolo XIX - per tacere delle più lontane derivazioni dalla Riforma protestante - è figlio del grande molo industriale, che tien dietro alle numerose invenzioni e applicazioni della scienza e della tecnica. E' qui la sua fondamentale ragione economica, anzi lo spirito di tutta la sua struttura storica, poichè dai centri e dagl' interessi industriali si sviluppa quella sua forma mentis anti-statale, individualistica, liberistica, che si è poi costantemente espressa nelle sue classiche manifestazioni. , Esaminiamo brevemente come ciò sia accaduto. Prima che l'industrialismo divenisse il fattore preponderante dell'economia e della politica mondiale, le forze principali della società e dei governi risiedevano nel regime agricolo. Detentori effettivi del potere erano i grandi proprietari del suolo, i quali svolgevano, in conformità dei loro interessi, una politica cofiservatrice e protezionistica. L'assolutismo regio aveva sì ~imitato molte prerogative dei grandi proprietari, ma non potendo arbitraria111enlespostare il centro degl,'interessi nazionali, aveva dovunque finito col saldare a quell'economia la propria finanza, in modo che tutto il sistema economico veniva' a gravitare intorno all'agricoltura, mentre le industrie e i commerci non formavano che semplici satelliti. Basti qui ricordare che uno dei massimi problemi di quel tempo era costituito dal commercio dei grani, ,e che la voce det proprietari agricoli si faceva valere nelle misure restrittive della libertà di circolazione di quei prodotti, temperate soltanto dagli imperativi della sa/us pubtica. Contro questo lalifondismo semi-feudale insorgono di buon'ora le industrie nascenti. L'accento spiccatamente anlistalale dei nuovi ceti manifaltu- • f , I

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