La Rivoluzione Liberale - anno I - n. 2 - 19 febbraio 1922

I rieri deriva da tutto un complesso di concorrenti fattori. C'è in primo luogo lo sforzo delle nuove aristocrazie del lavoro per scalzare gli ormai invecchiali detentori del potere; c'è poi la necessità, vitale per lo sviluppo delle industrie, di approvvigionare a buon mercalo una sempre più densa popolazione operaia e cittadina non produttrice dei suoi alimenti: quindi si tratta di spezzare il prote,ionismo statale che eleva, 'nell'interesse dei proprietari, il pre,.zo dei generi agricoli. C'è infine una insofferenza i>1sita naturalmente nei ceti industriali contro tutto ciò che è esterna coazione, ingerenza governativa, controllo burocratico. Alle industrie nascenti in condizioni propizie di materiale e di lavoro, è essenziale un regime di libertà, capace di dare un facile ed articolato gioco all'opera della concorrenza, alla selezione delle iniziative, alle capacità individuali. E si badi che io mi riferisco qui ad una fase iniziale dell'industrialismo, quando da una parte, le esigenze intrinseche della produzione non hanno imposto ancora un largo lavoro di coordinamento delle varie imprese e di accentramento capitalistico; e dall'altra, le forze proletarie non sono o sono scarsamente organizzate, di modo che il loro lavoro è corvéable à merci. In queste condizioni, il cl~ssico liberismo economico riesce al doppio risultato di migliorare tecnicamente la produzione e di ridurre il costo al minimo, nell'interesse dei consumatori. Da questo complesso di fattori che ho sommariamente indicato, s'individna la particolare forma mentale del liberalismo: individualista, magari anarcoide in rapporto ai vecchi poteri costituiti; iiduciosa nell'opera dell'iniziativa, del laissezfaire, della concorrenza; intollerante di ogni vincolo protezionista; rispettosa dei beni dei contrib~enti. Essa naturalmente si arricchisce di elementi attinti .alla rivolu~ione francese, rivendicatrice dei diritti 4ell'individuo; del contributo delle scienze e del!~ arti ;liberali largamente coltivate dai nuovi ceti già ricchi ed agiati; e, forte del conquistatò potere economico, essa tende alla conquista del potere politico, impostando la lotta secondo quelle ben note forme costituzionali e statutarie, che son tanta parte della storia politica europea durante il secolo XIX. ' ' li libe,alismo finisce col trionfare; dove più, ,et ove meno rapidamente e compiutamente; dove ,.er forze autonome, dove per contraccolpi esterni o per concorso d'impulsi specificamente nazionali e unitari. Ma il suo trionfo segna in pari tempo la . -data def suo decadimentO'. Anche qui, per un comj)lesso molto ricco di·ragioni e di occasioni.-Bisogna innanzi tutto considerare che l'esercizio del l)Otere ha naturalmente un'efficacia conservatrice e >t1agari reazionaria. I liberali' dell'ieri, una volta ,.adroni dello Stato erano per necessità por~i a gettar molta acqua sui loro bòllori antistatali ; e quel certo fervore anarcoide, che stava cosi bene sui banchi dell'opposizione, doveva cedere, aimeno in gran parte, alle fatali esigenze dell'amministrazione e della burocrazia. Si aggiungano i compromessi, anche quelli ineviÌabi1i per chi detiene il potere, con le altre forze -economico-politiché tuttora influenti: in particola?' modo coi proprietari della terra, dominatori delVieri, che, se pure scalzati dal primo posto, conservavano un'importanza tutt'altro clÌe trascurabile. Anzi, l'accrescimento sempre più intenso 'della popolazione industriale7' l'esorbitante urbanesimo, ponevano in certo modo i ceti industriali alla mercé dei detentori della terra: donde la necessità, -per quelli, di largheggiare in concessioni, di convertiri gli antichi nemici in nuovi alleati. L'azione ·sul lib'eralismo di questo concorso di un ceto di .proprietari, per sua natura conservatore, fu assai ,grave; specialmenie in· quei paesi, come l'Inghilterra e più tardi la Germania, in cui il movimento industriale fu più intenso, e, attraendo a sè tutte le forze vive del paese, lasciò i'economia agricola 11ell'arretrato stadio del latilonùismo semi-feudale', Si verificò teosì in questi paesi una giustapposizione ,di stratificazioni storiche diverse ; i nuovissimi ceti industriali divisero il potere col vecchio Landlordismo e 'Con il Junkerismo, sua propaggine. Il miscuglio prese, com'era naturale, la tinta più forte: fu conservatore, imperialista, militarista. Com'era possibile una tale alleanza? Senza una trasformazione radicale, insita allo sviluppo stesso delle industrie, sarebbe stata impossibile una fur sione di elementi tanto eterogenei. Doveva esserci, e in effetti ci fu, qualcosa che dall'interno intaccasse i centri vitali del 'iiberalismo, p~r detenninaì·e nei suoj fautori la dedizione a un programma conservatore. Ora, come ho già detto, il centro vivo della mentalità politica liberale era nelle industrie, an,zi in quella forma incipiente della produzione industriale, in cui le nuove forze si esplicavano con una pluralità non coordinata d'impulsi, con azioni isolate, non ancora soggette alla doppia forza centripeta del capitale e del lavoro. Ma, nella seconda ._ metà del secolo XIX, questo primo stadio fu quasi dovunque- sorpassato, per un'azione concorrente dei due massimi fattori in gioco. Da una parte, infatti, la piccola industria frammèntaria, isolata, chiusa nell'azienda quasi familiare, divenne inadeguata al progresso della tecnica e allo sviluppo del capitalismo. Si determinò quindi la necessità di coordinare, di organizzare, di accentrare· si crearono i grandì trusts, nei quali le ragioni ~utonome delle singole aziende furono sacrificate. L'industrialismo si fece monopolista, si appoggiò sempre più al sostegno dello Stato per far leva all'esterno, sconfessando cosi la precedente politica liberista. Non piè, concorrenza, ma lotte l..lA. RIVOl.lUZIO)'l.E l.tlBERAI.tE di accaparramento dei mercati, di predominio commerciale; non più selezione naturale, ma assorbimento, nei trusts, degli 'organismi poco vitali, ormai necessarie pedine nel gioco monopolistico; non più individualismo, ma sforzo collettivo, anonimo, e, per cosi dire, socialismo dell'alta industria e dell'alta finanza. Per vie opposte, intanto, a una forma analoga di organicismo mirava il movimento proletari9. Nel regime della lihertà industriale, l'operaio era sacrificato. La circolazione senza 1,;ontrolli, senza limiti. senza garanzie, del lavoro, tendeva a ridurre i salari al minimo indispensabile alla vita materiale ; la merce-uomo entrava neH'ingranaggio della produzione con la più completa passività, con la totale dedizione di ogni autonomia e dignità umana. Ma, a misura clic le industrie si organizzano ed accentrauo in zone ristrette grandi masse operaie, anche .queste, dal loro canto, trovano l'opportunità di coalizzarsi. Il movimento socialista s'intensifica per la doppia spinta del basso e dell'alto; ed a sua volta reagisce sui trusts padronali, imponendo condizioni, garenzie, limiti. Nasce, ed in pochi anni si sviluppa largamente una legislazione sociale che attribuisce allo Stato un'ingerenza senza precedenti sulle forze produttive del paese. Attraverso la lotta . di classe, il socialismo in fondo non fa che accelerare quel ),JIOto che era già insito alla tecnica inòustriale e finanziaria verso la dil,atazione dell'azienda, verso ·n regime impersonale, collettivo, anonimo della produzione. Entriamo così nella fase storica nota col nome di socialismo di Stato. Da quel che ho detto, risulta che sarebbe fallace considerarla come risultato del solo impulso delle forze proletarie; essa deriva egualmente da questo e dall'opposto impulso delle organizzazioni padronali, moventi alla conquista dello Stato. La lotta dei due fattori in gioco non ha per effetto una reciproca elisione, anzi raccoglie le forze dei contendenti nel centro della comune inserzione: '10 Stato. Questo, giovandosi della doppia spinta, dall'alto e dal basso, estende progressivamente il s.uo raggio di azione: promuove volta a volta una legislazione sociale che tiene in iscacco gl'imprenditori e un protezionismo che alimenta i - trusts industriali; inoltre assume nell'interesse, 9ra dell'uno ora dell'altro avversario,_ la gestione di~ retta o il più largo controllo o il finanziamento di un numero sempre crescente di imprese; e riesce. generalmente a una forma magari ibrida di compromesso tra le forze in lizza a cui a torto si è dato l'epiteto spregiativo di plutocrazia demagogica. Si tratta non di degenerazioni od arbitrii-individuali, ma di necessità prammatiche. E' lecito magari dolersene e scandalizzarsene, ma ciò non toglie che siano momenti ~on eliminabili dell'evoluzione economica. Collocandoci su questo terreno realistico non possiamo disconoscere che il liberalismo sia stato messo in soffitta dal socialismo di Stato, che ha assottigliato poco per volta tutte le classiche libertà; ha sostituito quasi dovunque all'attività individuale· e rapsodica una burocrazia accentratrice (non solo nl!'gli uffici pubblici ma nelle stesse aziende pri-. vate); ha suscitato insieme, anche contro la politica estera del liberalismo fondata sull'autonomia dei popoli, le forze antitetiche del nazionalismo e dell'internazionalismo. Gli storici partiti liberali si son trovati nella necessità, pur di non perdere qualunque base d'interessi, di convertirsi a un conservatorismo sempre più accentuato, la nuova organizzazione industriale, nata infatti con scopo di conquista e di espansione, aveva bisogno di uno Stato forte, militarmente agguerrito verso t'esterno; e capace, all'interno, di tenere in soggezione i cittadini. Tramonta, quindi, la vecchia politica tanto-scrupolosa della 1ibertà degl'individui, tinto rispettosa (magal'i per ipocrisia!) degl'interessi dei contribuenti; le ragioni 'degl'individui sono sommers,e nel gorgo anonimo della collettività. Il liberalismo minaccia dunque di estinguersi? di essere travolto dalla doppia azione plutocratica e democratica, che tende a modellare la società secondo ,~ diverso ideale di'vita collettiva? Prinul"di rispondere a questa domanda, che oggi si fanno con perplessità quanti hanno tuttora viva coscienza dell'individualismo liberale, desidero accennare brevemente alcuni tratti differenziali del liberalismo italiano. lo ho tracciato fin qui la nuda linea parabolica del movimento 1 liberale europeo, escludendo di propositto tutte quelle complicazioni secondarie che hanno, nei diversi paesi, diversamente sviluppato quella linea. Ora, in Italia, l'impulso dei fattori economici del liberalismo è stato più fioco e in un certo senso deviato; ma d'altra parte, a compensare questa deficienza, si è determinato il concorso propizio della grande passione patriottica del nostro risorgimento. li risveglio industriale in Italia è stato tardivo, in confronto di molti altri paesi: la deficienza delle materie prime, la scarsezza degli sbocchi commerciali, la servitù politica fatalmente causa di servitù economica, ci ·hanno posto, inizialmente, in condizioni d'inferiorità verso i popoli meglio agguerriti. E' avveriuto così che un grande mévimento• inètustriale si sia potuto verificare tra noi soltanto quando esso era altrove già molti progredito ;- e che, per sanare l'originaria deficienza, esso abbia dovuto compiersi col concorso o almeno con la protezione dello Stato In questo modo, è venuto ad attenuarsi quel forte accento individualistico ed autonomistico che, in Inghilterra per es.empio, era dato da un atteggiamento del tutto spontaneo delle nuove élites borghesi. • lo non dico proprio che sia mancato un liberalismo a base industriale; ma nell'economia generale delle forze in prevalenza agricola di tutta la nazione, esso no'n ha potuto dare una fisonomia decisamente sua all'insieme. Invece, nel maggior numero delle regioni italiane, il reclutamento liberale è stato fatto nel ceto dei proprietari della terra. Qucst' affermazione può colpire a prima vista come una stranezza, perchè giustamente si pensa che, so v'è un ceto essenzialmente conservatore è proprio quello dei proprietari. Ma l'apparente stranezza scompare se ci trasferiamo col pensiero ai primi decenni dell'ottocento; se ricordiamo come tra i tanti mali dell'invasione francese nell'età napoleonica, veni~se a noi il gran bene dell'eversione degli ultimi residui tenaci ciel regime feudale. E' noto clic uno dei pi(1 grandi risultati della rivoluzione francese, anzi il maggiore di tutti, sia stato la trasformazione dell'economia rurale. Con l'espropriare i beni dei nobili, degli emigrati, degli ecc1esiastici, e col venderli ai contadini, i capi della rivoluzione ottenevano l'immenso vantaggio di cointeressare al nuovo ordine un grande numero di cittadini e di accelerare quella selezione del terzo stato che, già iniziatasi sotto l'assolutismo, doveva essere il più saldo presidio di un regime di libertà. E la propaganda rivoluzionaria, sconfinando ben presto fuori della Francia, fece specialmente presa presso quelle nazioni che ai;evano una economia a base agricola, come l'ltalia, la Germania del sud, i paesi renani, mentre trovò ostacoli insormontabili in Inghilterra, non tanto per cautele di governo o per la posizione insulare, quanto perchè l'avviamento, decisamente industriale di quel paese aveva lasciato quasi in abbandono la terra e. tolto ogni presa a una rivoluzione agricola, cointeressante ·una grande massa di popolazione agi' « immortali principii , francesi. Le due forme tipiche di liberalismo si delineano così fin dal principio. Ordunque in Italia con l'abolizione della feudalità, col frazionarsi della terra, conseguenza della sua libera disponibilità, con la sua più intensa valorizzazjone agricola, commerciale, industriale - anch'essa dipendente dallo stesso fatto - venne a crearsi un nuovo ceto di proprietari, un'agiata borghesia operosa ed aperta alle ·idee nuove, che formò poi il grosso dell'esercito liberale. È questa borghesia infatti che, svegliata a un'alta coscienza di sé al contatto delle idealità francesi, mirò di buon'ora alla conquista del potere politico; e dopo molti, vani tentativ_i di compromessi coi governi locali per raggiungere pacificamente l'intento, si lasciò trascinare, pur riluttante, nelle vie della rivoluzione. ' Questo dunque differenzia in primo luog'f il liberal.ismo nostrano da quello inglese: chè l'economia industriale e l'ec.onomia agricola esercitano, presso l'uno e presso Paltro, una diversa e quasi un' opposta azione. Mentre in Inghilterra le forze liberali s' irradiano dei maggiori centri lnanifatturieri; e la stessa rapidità dell'evoluzione industriale lascia intatto il vecchio latilondismo; da noi invece la prevalenza almeno iniziale degl'interessi agricoli nella generale economia del paese determina di buon' ora una profonda trasformazione del sistema fondiario, creatrice di un ceto borghese di piccoli e medi proprietari. ' Ma il liberalismo di questo ceto non puo essere che del tutto peculiare, incomparabile con quello dei ceti industriali. V'è senza dubbio nel proprietario un notevole spirito individualistico, un'insofferenza di esterne limitazioni ai suoi diritti, una ripugnanza verso ogni associazione corporativa. Accresce questo individualismo il naturale decentramento della distribuzione demografica; ne accentua il carattere liberale la cultura, l'esercizio delle arti così dette liberali, largamente coltivate in un ceto medio e agiato. Si aggiunga ancora l'efficacia che, sulia mentalità del pro·prietario, èsercitano il legalismo e il costituzionalismo: cioè il possesso di garanzie statutarie dei propri diritti, di fronte ad ogni arbitrio gover~ativo. E, da tutto questo complesso di elementi, ci si spiegherà la larga conversione di questo ceto alle idealità liberali, anche straniere. Ma il proprietario è liberale fi1Jo a un certo punto: egli ama il potere, purché la conquista di esso non gli costi troppo, non gli minacci, per esempio, quella relativa sicurezza economica, che anche un governo assolutista non rifiuta di accordargli. Inoltre, egli è attaccato all'idea dell'ordine, ama la tranquillità come chi ha m.olto'al sole; in ultima istanza, sente di avere il suo massimo pfesidio ne)lo stato e per nulla si arrischierà d'intaccarne la salda compagine. Ecco 'altrettanti contrappesi conservatori al liberalismo dei\proprietari, di quel ceto che sul principio dell'otio,cent6 vediamo agitarsi per ottenere, dal riluttante assolutismo della restaurazione, carte e costituzioni politiche, e dare le più numerose reclute alle società segrete. Orbene, l'ambiguità di natura che ho segnalato, l'oscillazione continua tra le opposte tendenze liberali""e conservatrici, si riflettono sui moti economico-politici del nostro Risorgimento e danno ad essi una particolare !isonomia. Ciò che è s_embratoalle storie patriottiche e romantich,e relative a quel periodo una generale tiepidezza ed indifferenza dei ceti medi - in nieno contrasto con l'ardore e l'eroismo di pochi individui - di fronte ai grandi problemi nazionali_, si palesa invece a una considerazione più approfondita come un penoso contrasto d'impulsi e di fini. Io ho avuto occasione di studiare in particolar 7 modo (1) i moti rivoluzionari nelle province meri 7 dionali, in regioni cioè eminentemente agricole, dove l'aspetto che ho posto in rilievo del liberalismo nostrano si presenta come più tipico. Preodiamo la rivoluzione del 1848, quella in cui si accentra in un sol fòco lo sparso insurrezioniSlnQ del trentennio precedente; guardiamola fuori di ogni complicazione neo-guelfa e federalista, nella sua elementare linea economica. Troviamo all'inizio forti nuclei di proprietari nella capitale e nelle province, che, jnscenando una.sommossa popolare, chiedono ed ottengono, dalla monarchia impaurita, una costituzione. Con la rapida conquista del potere, con la creazione di una guardia nazionale, presidio delle nuove libertà, essi credono di av& risoluto il problema interno e di poter preparare la guerra esterna, contro l'Austria. Invece, essi non hanno fatto che suscitare un'incendio, che minaccia di bruciarli per primi. Perché, una volta conquistate alla rivoluzione le .masse, queste tenjano di realizzare fini propri, in contraddizione con quelli dei proprietari agitatori. Nellé campagne in particolar modo, dove c'è una ragione permanente di disordine sociale, ~ostituita dalla presenza di un vasto proletariato agricolo aspirante al possesso della terra, la parola costituzione viene intesa nel. significato più aperto al popolo, come appropriazione delle terre dei signori. Ed ecco, dunque, che la rivoluzione preparata da questi ultimi nel proprio interesse, tende invece a comprometterli irrimediabilmente. Le manifestazioni popolari assumono fin d·'allora una insegna comunistica, che viene anche fugacemente agitata nelle città, per opera di un ristretto artigianato locale. Quivi però per la mancanza di una larga organizzazione industriale, tali agitaziorn sono di secondaria importanza; ben altrimenti pericolose quelle delle campagne, che si prolungano per vari mesi, dopo che l'insurrezione è stata domata nella capitale. Risulta di qui la precaria situazione dei liberali, i quali finiscono col trovarsi stretti tra due fuochi: tra l'assolutismo da una parte, che, dopo il primo sgomento riordina le sue file e ricomincia ad attrarre un sempre maggior numero di proprietari, ai quali può garentire almeno i propri diritti sulla terra, compromessi dalla rivoluzione; e tra la rivolta pro.letaria dall'altro lato, che con l'espropriazione della terra travolse le promesse originarie del movimento iiberale. Ecco la causa delle molte delezioni, che scompaginano in breve tempo i quadri del liberalismo; ecco il perchè di quelle rapide conversioni di fronte, per cui la guardia nazionale, che doveva essere presidio di libertà, si pone invece all'avanguardia della reazione in molte province, nel t~ntativo di arginare la marea proletaria. Persino i capi del partito liberale appaiono nel primo momento disorientati: la percezione degl'interessi li attrae verso i conservatori; quello di generose idealità verso la rivoluzione, che però minaccia gl'interessi del loro ceto. Per questo riguardo, è. molto significativa una breve lette,ra scritta da Carlo Poerio al fratello Alessandro, proprio il 15 maggio, nel giorno p'iù funesto alla libertà napoletana; ebbene, in essa veniva formulatò il voto che il governo riuscisse a dominare la sommossa, - quella sommossa che doveva passare alla storia come la più eroica ed infelice pagina del liberalismo napoletano! lv\a bisogna nel tempo stesso riconoscere, che passata la prima ora d( disorientamento, àlmeno i leàders della rivoluzione seppero ritrovare il loro posto, e, consci che l'unica via di salvezza contro l'ormai trionfante assolutismo fosse nella rivolta popolare delle campagne, seppero sacrificare gl 'interessi padronali propri e del proprio ceto, ponendosi a capo di quel movimento, senza ripudiarne le estreme conseguenze, che pure doveva;o ad essi apparire come una degenerazione dell'iniziale impulso rivoluzionario. È forse qui la massima elevazione del liberalismo di Carlo Poerio, di SiJv•io Spaventa e dei loro migliori compagni. Ma nell'economia generale di un grande movimento storico, l'eroismo eccezionale di pochi individui brilla solitario e nel contrasto non fa che accentuare il distacco della massa. E questa ci rivela nel suo insieme un instabile -equilibrio tra opposti interessi liberali e conservatori, con prevalenza finale degli ultimi e quindi col finale ripu- ,dio di ogni velleità rivoluzionaria. Il carattere agrario del liberalismn nostrano si riflette cosi nell'inconsistenza delle sue maggiori manifestazioni, e infine nella forza i_nvincibile dei suoi interessi conservatori. Non per nulla Glad-. stone, meravigliandosi che i capi del nostro liberalismo fossero perseguitati dai governi locali, affermava che in Inghilterra essi avrebbero potuto sedere nella Camera dei Lordi. E, data questa sua struttura, il liberalismo italiano non avrebbe forse trionfato, pe'r forze proprie, della resistenza dei rea.zionari, senza il provvidenziale soccorso della grande passìone nazionale, che ne vinse la· riluttanze, lo arrestò- nei ripiegamenti, gli ritemprò le forze per nuovi slanci in avanti. In presenza del gran~e problema dell'indipendenza dallo straniero, dell'unificazione nazionale, il movimentO liberale assunse una compattezza, un rilievo, che per sè non aveva: l'insegna dellà libertà divenne concreta, tangibile, quando si trattò di cacciàr via dalle nostre terre l'Austria e i suoi clienti; ed anche il languido costituzionalismo si rav1Hvò quando apparve esso pure simbolo e segnacolo di lotta, e insieme, mezzo di generale livellamento della viia pubblica di tutte le regioni di Italia, in servizio dell'opera di unificazione. (1) Si veda il mio volume: Il pensiero jJolftt"co me,·i• dfonale nei secoli .KV.l[l e )(IX, Bari, Iaterza, 192·2.

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