Enrico Burich - Fiume e l'Italia

- 11 - giovani studiarono ben sette anni nella capitale magiara e tornarono a Fiume più italiani di !}rima. E ungheresi, ungheresi, ungheresi vengono spinti al mare con tutte le seduzioni come verso un nuovo mondo. Negli impieghi dello Stato - governo politico e marittimo, posta, stazione, società sovvenzionate - i fiumani non possono entrare se non rinnegando la loro nazionalità. Per qualunque cosa occorre ormai la concessione del governo. Avendo in mente di indebolire economicamente 1'elemento italiano per renderlo più facile preda, il governo comincia col diminuirgli la possibilità di guadagno, col troncargli ogni iniziativa; e viceversa, sosti~ne ogni pizzicagnolo ungherese calato a Fiume, sovvenziona industrie e commerci ungheresi di qualsivoglia specie se anche appare chiaro che sono volgari e losche speculazioni; e crea banche e magazzini che diventano delle vere sanguisughe dei commerci fiumani e finiscono col rovinare molti italiani. Persino gli annali ufficiali d~Ila Camera di Commercio e d'Industria fiumana sono pieni di lagni, di memoriali, di rimostranze, di proteste inoltrate al governo, con l'invito di cambiar rotta. Parole al deserto! Si legga a questo proposito il grido di aiuto lanciato agli italiani da Flaminio E. Spinelli nell'opuscolo intitolato: Il Calvario di una città italiana, al quale, anch'io, attingo molte di queste notizie. L' irredentismo. Il partito autonomo non potè o non seppe arrestare il lento e incontrollabile ~ infame processo della snazionalizzazione di Fiume. Chi reagi invece fu il partito dei giovani, appunto dei giovani educati nelle scuole ungheresi, dei giovani che sentirono ps:r i primi il danno spirituale del delitto perpetrato contro di loro dal governo. Dieci anni fa soltanto questi giovani si ribellarono e si (I) Bergamo, Istituto d'Arti Grafiche, 1914. Biblioteca Gino Bianco

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