ka, mostra in questo senso la condizione alla quale l'arte di paesaggio ha dovuto sottrarsi: è la scambiabilità universale. Lì il pittore continua ad estrarre dal loro ricettacolo opere che raffigurano l'identico paesaggio, nel mentre le presenta all'attonito protagonista come variazioni e specificazioni diverse di un motivo. Il destino dell'immagine di paesaggio nell'epoca della riproducibilità tecnica trova qui una metafora penetrante: ogni immagine della natura tradisce ormai l'esperienza che intende riprodurre, proprio perché le convenzioni pittoriche del medium sono divenute a tal punto seconda natura, attraverso le stampe o la fotografia, da impedire il sorgere di un'esperienza non generica, ma singolare, che si dirige a quel paesaggio determinato, e non ad una forma codificata dalla tradizione. Ma per un paradosso affatto comune, il superamento del quadro di paesaggio salva l'esperienza dell'immagine, nella sua apparente negazione. Dove l'immagine della natura si irrigidisce nella ripetizione del medesimo, l'opera d'arte pone l'accento sul carattere temporale e processuale di un'esperienza di cui l'immagine è solo il risultato. Il paesaggio infatti non si dà mai totalmente allo sguardo, posando sin dall'inizio in un quadro, i cui limiti coincidono con il campo della visione. Appena consolidata la cornice di un'inquadratura, il minimo spostamento del corpo cancella l'immagine così ottenuta e al tempo stesso lascia, senza intervalli, ad un'altra il tempo di avvenire. I percorsi tracciati attraverso la natura da George Trakas, così come i racconti di passeggiate che Richard Long scrive sulle pareti di una galleria, rinviano in modo diverso ad una presenza del corpo nel paesaggio che dà a riconoscere la stessa formazione dell'immagine come il risultato di un processo temporale indeterminabile. In queste opere d'arte possiamo comprendere come la promessa estetica contenuta nel mondo apparente riprodotto nei quadri di paesaggio sia attualizzabile soltanto alla 86
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==