Il piccolo Hans - anno XXI - n. 83/84 - aut./inv. 1994

Quanto di strano, e di attraente, e di trascinante e di meraviglioso c'è nella parola: strada! e quanto meravigliosa è essa stessa, la strada... 5 Ah, strade... I Polvere e nebbia,/ freddo e ansia/ e la sterpaglia della steppa 6 . Che l'ampiezza, l'estensione, la sconfinatezza, in una parola il prostor siano gli elementi dominanti in ogni raffigurazione, evocazione o descrizione paesaggistica russa è ormai un dato di fatto scontato e riconosciuto. Alla base di questa situazione stanno secoli di rapporto «sociale» fra la cultura della natura e quella dell'uomo. Stanno le accurate fasi di rimozione delle pietre dal suolo, di assecondamento delle sue sinuosità, di lavorazione della terra da parte del contadino che rese la natura russa «morbida» e la «culturalizzò» rispettandola, non limitandosi a piegarla dispoticamente al proprio volere. «Il paesaggio russo si è sviluppato con l'apporto di due culture: quella umana che ha smussato le spigolosità della terra, e quella naturale che, a sua volta, ha attutito le infrazioni d'equilibrio compiute involontariamente dall'uomo» (Lichacev 1981: 22). La natura d'istinto tendeva a coprire e dominare tutto il territorio, l'uomo interveniva modificando la situazione, sottoponendosi inconsciamente all'esigenza di rapporto assoluto e continuo con quella natura che non poteva non costituire il suo primo e privilegiato interlocutore. L'uomo si trovò per tanto, nella Russia antica più che altrove, a rapportarsi costantemente con la natura e con le sue forze. L'idea di condanna o di celebrazione degli elementi naturali sarà inseparabile dalla loro citazione in letteratura, come nella vita7 . La lingua russa prende in prestito da altri idiomi i termini che indicano paesaggio: pejzaz (dal francese) e landsaft (dal tedesco). Non sviluppa una realtà che si distacchi dal concetto di spazio infinito, ma proprio a questo proposito, anche lessicalmente, manifesta una ricchezza che 42

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