Il piccolo Hans - anno XXI - n. 83/84 - aut./inv. 1994

tali per riaffidare ad una visione d'insieme la risemantizzazione della terra come tremito. Ma si tratta, a fronte del cannocchiale spirituale dei primi tre sonetti, di una vera e propria veduta aerea, che inquadra la città in una prospettiva a volo di uccello, quale quella dipinta dal lorenese Didier Barra, monsù Desiderio, per il quadro di Onofrio Palumbo San Gennaro protegge la città di Napoli, se non proprio commissionato per la terribile peste del 1656 (quella descritta da Lubrano nella già citata ode [;Eraclito e nel sonetto LXI, Napoli disertata dopo il contaggio, entrambi comparabili piuttosto, per l'affollarsi di corpi nei ricettacoli divenuti tombali delle architetture, alla tela di Micco Spadaro La piazza Mercatiello a Napoli durante la peste del 1656), in quanto databile intorno al 1652, quanto meno esaltante la potenza del santo nel proteggere la sua città in un secolo che, prim'ancora del terremoto e della peste, aveva visto di già l'improvvisa eruzione del Vesuvio del '31 (la più forte dopo quella del 79 d.C.) e l'«empia» rivolta popolare capeggiata da Masaniello (1647). Ma se nella tela, conservata nella chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini a Napoli, il santo apotropaico per eccellenza si erge a difesa della città, intercedendo per essa nei confronti della furia divina, la Napoli descritta da Lubrano è stata disertata, per sua propria colpa, da ogni adiuvante e intercessore. Restano, dunque, a subire l'ira «del Ciel» i soli palazzi, oltre misura alti («tetti giganti» che vanno a «lapidar le stelle»), così come per davvero erano gli edifici napoletani, costretti dal rimanere la città chiusa nelle proprie mura (secondo l'ultimo ampliamento urbano, quello voluto dal viceré don Pedro de Toledo nella prima metà del secolo precedente) e dalla sfrenata edilizia religiosa (dei Teatini, soprattutto, e degli stessi Gesuiti) a svilupparsi innanzi tutto in altezza. Latitando il santo, dunque, la veduta assume piuttosto una cupa coloritura da paesaggio irrealistico e minaccioso, che non può non ricordare la tela di un altro lorenese, quella Veduta di 34

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