Il piccolo Hans - anno XXI - n. 83/84 - aut./inv. 1994

proporre il desiderio volto in concupiscenza di «caduchi beni». Il fuoco, scrive nel sonetto LXXI (Il fuoco delle concupiscenze fa degenerare l'anime create pel Cielo), anela' «a la sfera altier», ai luoghi dunque più alti, mostrando «ambizion di stella», ma la sua «fame rubella» di un cibo quale che sia «l'abbassa a divorare aridi steli»; così «il desio» dell'uomo che «in alto aspira», ubriacato dai «caduchi beni», pone in oblio il Paradiso e desidera, struggendosi, «sol per incenerir», soltanto ciò che, cenere (perché la materia è cenere), incenerirà il suo spirito. La cenere, la polvere della liturgia, è dunque il «non eterno», e abbatte il tempo della materia, a partire da quel transito da fango a fango in cui s'inscrive l'esperienza umana. Così, ancora, il predicatore per il Mercoledì delle Ceneri: Memento homo quia pulvis es. Così comincia, così finisce l'inventario de' beni temporali, compilato in breve dalla Chiesa curatrice de' cristiani, e pubblicato da' singhiozzi del sacerdozio a tutti noi, come a primogeniti del loto, eredi ab intestato della putredine. Il predicatore chiama a raccolta, suona a distesa le campane del raccoglimento e dello sguardo interiore; ma per l'artista, il «paesaggio dipinto nella polvere» è piuttosto uno sguardo al di là del tempo, esterno, ed è pertanto il tutto avvenuto in un istante, insomma il colpo d'occhio che cospira per l'oggi senza oggi. Questo è il compito dell'arte, questo e non altro: sprigionare nel desiderio di eterno lo spirito, lì dove l'arte che di tale desiderio fa materia, che vorrebbe insomma immettere nella materia l'eterno, è piuttosto fasto. Il fasto è dunque un traviamento dell'arte, un'eternità presunta pericolosa quanto altre mai, perché capace d'imbrigliare nella concupiscenza il vero desiderio, dismisurando «un mezzo niente» in un «mezzo tutto» (così nel sonetto XXXI, I.:occhialino, vv. 930

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