Il piccolo Hans - anno XXI - n. 83/84 - aut./inv. 1994

opera nella fabbrica dei versi: la musica, s'è detto, sta lì a fare il gioco della contemporaneità, quasi in una coazione all'omografia e all'omofonia, atta a rendere conto della coincidenza del tutto, vuoi come polvere vuoi come spirito, nei tempi lunghi; del resto, scaraventate attraverso l'eternità, se la materia è cenere, tutte le parole sono omonime e sinonime, sono insomma la stessa parola. Le «intellettive scintille» di queste poesie marciano verso questo irraggiungibile stadio finale: ma anche «a volo» di isofonie e metafore, per parafrasare un passo del Cielo Domenicano, Lubrano sa di non poter raccorciare la distanza che ci separa dall'unica parola, quella che è salvezza, così come sapeva di non poter significare il senso pieno della mistica esperienza dei santi, «anche a volo d'iperboli». Ma per quanto la meta non sia perseguibile, la via per raggiungere la meta è pur sempre da perseguire: ecco come ragiona un religioso reso scettico dai suoi stessi strumenti di persuasione, insomma un fior di secentista. All'istesso La terra anco è mortal: trema e si scote di parletico umor turgida il seno; e se le pesti sue smaltir non puote trasuda in zolfi e bollica in veleno. Di astrolaghi presagi al guardo ignote le vertigini occulta; e al ciel sereno, quando l'acque del mar dormono immote, tanto imperversa più quanto vien meno. E pur deluso l'uom pensa sicuro vivere ad anni lunghi in bel soggiorno, ove si celan tombe entro ogni muro. Napoli, a te! Le tue grandezze un giorno né men la Fama saprà dir che furo, presso il Sebeto a piangerne lo scorno. A conclusione del breve ciclo dedicato alle scosse del terremoto del 1688 (e prima di principiarne un altro sulle 26

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