Il piccolo Hans - anno XXI - n. 83/84 - aut./inv. 1994

in movimento, in cammino, non è mai presso se stesso, né sta per se stesso. Diversamente che negli Idilli di Teocrito -od anche di Virgilio- il paesaggio di du Bouchet non è un elemento che fa capolino di volta in volta in costellazioni momentaneamente festose, bensì è onnipresente. Tuttavia, questa vicinanza permanente è di natura paradossale, poiché da un lato è un paesaggio completamente elementare, senza alcun indizio geografico, dall'altro invece è un paesaggio concreto e vissuto. Il paesaggio dubouchetiano si svela innanzitutto come paesaggio di parole: ... pierre. neige. eau. si vous etes des mots, parlez. (Rapides, Parigi 1980, p. 5); non si tratta però della lingua pura della poesia nella tradizione simbolista; non si tratta qui di costituire un «paesaggio dell'anima»; questa lingua è sì quella della montagna, del cielo, del sole, della pietra, della neve, dell'acqua, dell'aria, ecc. ma nell'esattezza deittica: l'acqua, qui, di questa neve o di questo sentiero. Paesaggio significa, in du Bouchet, riflesso della precisione poetica; nelle sue poesie il paesaggio si presenta e si sottrae contemporaneamente. Il paesaggio, qui, dove manca qualsiasi indicazione segnaletica, non viene caratterizzato, situato o descritto, ma determinato unicamente nei suoi dintorni, cosicché la sua designazione viene a combaciare con la sua presenza. Nulla in questo paesaggio corrisponde alla convenzionalità di uno scenario utopico del desiderio o dell'anima, al facile deciframento di un paesaggio che riflette verso. l'esterno un'interiorità smarrita. Tutto è visto in una luce estremamente cruda e diretta, nell'immediatezza dell'io che ivi si esprime. Volendo fissare sulla mappa della storia poetica europea il paesaggio dubouchetiano bisogna 198

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