sta. Ma in ultima analisi il merito, cioè il senso di ogni sua azione, questa in specie, sarà da riportare a Cristo, ovvero a Dio. Dopotutto che rapporto c'è tra Cristo e Dio se non lo stesso che c'è tra Colombo e il Re? Egli, Colombo, sta al Re come Cristo a Dio. Egli non è che un rappresentante del Re in terra, cioè nella Nuova Terra. Egli, Colombo, non è che una funzione, un simbolo o, forse, una metafora. Se si pensa che il tema della commedia è la nascita di un mondo nuovo (vale a dire del mondo), e che questa nascita è indubbiamente la nascita del mondo moderno - non ciò che è e fu, ma ciò che sarà (così appare agli occhi no�tri, di noi moderni) - non risulterà illegittimo guardare a questa nascita con gli occhi di oggi, con gli occhi della fine del mondo, del mondo nuovo - come si guarda guardando dopo la fine del mondo moderno (c'è sempre un mondo che muore, e questo mondo era il mondo moderno). Non sarà insomma illegittimo pensare a Colombo come ad un puro valore linguistico, come ad un segno. Egli, l'ho appena detto, è una metafora. E Colombo, in quanto metafora, non sta affatto sospeso tra due sensi, al contrario prende per così dire partito, lo fa in modo resoluto, è la metafora di ciò o di chi si pone all'estremo di una oscillazione. Egli, come dice un suo seguace, Pinzon, a lui opposto per carattere e scelte etico-esistenziali, «ha inventato un mondo senza prove». Sia pure sulla base di un equivoco, il Colombo di Lope diventa il contrario di uno scienziato, il contrario di un intellettuale come rappresentante di un potere, come simbolo di un'idea (o suo portavoce), come guida di un popolo, o redentore della nazione. Non solo Colombo è metafora del Re, metafora che raccoglie energia dall'alto; è anche (come tutta l'arte moderna e contemporanea dal Secolo d'Oro al Novecento) metafora che raccoglie dal basso, colui che raccoglie le energie di tutti, i fedeli e gli infedeli, gli spagnoli e gli indiani, chi gli dà fiducia e chi 185
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