Il piccolo Hans - anno XXI - n. 83/84 - aut./inv. 1994

moltiplicando e amplificando i costrutti sintattici, confonde l'apparente trionfo lineare del discorso «ideologico»; Zanzotto, dal canto suo, decostruisce (ma nr,n annulla) i sistemi di riferimento (a contesti di sapere di luogo, e autobiografici) col petel, il balbettio ergotan1 � che, dal basso, invischia e interrompe ogni discorso. Sono testi, questi, che non rinunciano all'articolazione del pensiero e alla rappresentazione delle cose. Ma con articolazioni e dispiegamenti particolari, decentrati: ogni cosa vi appare spostata, collocata «fuori quadro». In posizione precaria, soffocata da un pieno di segni, di lingua, da cui con difficoltà tenta di distinguersi; oppure in posizione di isolamento, in vuoti algidi, solitudini non psicologiche ma di luogo, di spazio. Ne nasce una voce poetica che o s'appoggia, fin quasi a confondersi, al rumore di fondo che viene dagli oggetti del mondo e della natura o che, al contrario, si sforza di distaccarsene, organizzando quel rumore (andando a pigliarlo dov'è, nel mondo o nel brusio della mente, nei cascami del pensiero) per riportarlo nell'isolamento dello spazio monodiscorsivo. È quanto avviene in Luzi: la sua poesia sembra andare incontro al deserto e insieme a una dimensione eroica, che grida contro la confusione, la Babele dei significati. Ma qual è, lasciando sullo sfondo questa premessa, il modo in cui, negli ultimi libri di Luzi, si arriva allo scardinamento del sistema discorsivo, tanto opprimente (per noi) nei libri del decennio precedente? Come si arriva a quello spazio e a quel deserto? La figura che presiede all'operazione è segnalata la stessa (ma con ricorrenze molto meno rilevanti e con funzioni comunque diverse) da Mengaldo, a proposito degli Strumenti umani di Sereni. In «Iterazione e specularità», Mengaldo distingue, nel sistema di ricorrenze, una ricca tipologia che va dalla ripetizione come semplice conduplicatio, alla ripetizione con 152

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==