Il piccolo Hans - anno XXI - n. 83/84 - aut./inv. 1994

Derrida). Tempo fa, dopo aver letto Gioco di corte, E.R. mi disse che la politica mi intrigava troppo. Risposi che aveva ragione. Ma non è la politica, è la riflessione sul nostro tempo, sulla piaga della salvezza, sul prevedere e il progettare, sulla disastrosa accelerazione del tempo (ipotecare il futuro, occuparlo, uccidere i nemici del progetto). l\(Ii riferisco a quella osservazione perché nei due racconti e in Gioco di corte, ma anche in Sopra il viaggio di un principe, si parla anche di «politica». Cercare Flora e non trovarla. Le afasie parallele, il lucido non volere, non poter più parlare di Baudelaire e di Gramsci. Il silenzio dopo le parole grandiose (Gramsci), il silenzio dopo le immagini della metropoli (Baudelaire). Quando vado o torno, vedo nei campi gli arabi che raccolgono i pomodori. Abbiamo anche noi, popolo povero, i nostri servi. Ho visto strani tipi di arabi, che invece di stare con gli altri vanno in giro su vecchie Mercedes polverose. Hanno l'aria di esattori di tangenti. (...) il vuoto non è il niente. Il vuoto si può riempire di dèi, di bellezza. Ma gli dèi non devono scendere sulla terra. Ottavio Cecchi 150

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