3.1. Rinunziare all'uso empirico delle espressioni «intenzione» e «compimento» significa fare un passo avanti nel cammino diadromico verso l'afferramento di un'interiorità nebulosa e cangiante, capace di un'autoriflessione (la «coscienza»), che rimane parzialissima, lacerata e mutevole, ma che proprio per questa sua lacerazione in brandelli può in qualche modo cogliersi, in qualche modo essere tetica di se stessa, oltre che essere omeomorficamente tetica del continuo lacerarsi del mondo. Non vi è invece rinunzia terminologica al termine descrittivo «intenzionalità», quando esso è inteso come rappresentazione telica (di scopo) della delosi (intenzione di comunicare, di esprimere, di significare, di interpretare). 3.1.1. L'inseguirsi delle immagini delle immagini (Mym) è quello che le filosofie fenomenologiche chiamavano «intenzione» e «compimento di significato». L'inseguirsi continuo delle immagini delle immagini può essere detta «cronodesi», cioè legame agli orizzonti che continuamente sopravvengono del tempo. 3.1.2. Il termine «interiorità» è necessariamente insoddisfacente e provvisorio. Però esso è, al momento, l'unico che possa denotare una rottura epistemologica totale sia con il mentalismo classico che con le regressioni dell'ermeneutica tradizionale. Tuttavia un ulteriore passo dovrà essere fatto in una narrazione spregiudicata che non conceda nulla né allo spiritualismo e all'animismo, né al materialismo volgare. Questa narrazione non può essere che aurorale e un nome nuovo verrà dalla ricerca successiva, volta a superare, ma in un modo soddisfacente, la distinzione operazionale attuale fra «interno» ed «esterno», fra afferenza, tragitto ed alone, fra interiorità ed espressione. 3.1.3. In termini antropologico-trasformazionali l'interiorità può incominciare ad essere spregiudicatamente narrata come groviglio nodale dinamico, come turbine che non si placa mai (kukcwv... ktvouµcvoç12), dove s'incontrano, fra loro senza posa interreagendo: 106
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