Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

«Apri li occhi e riguarda qual son io: tu hai veduto cose, che possente se' fatto a sostener lo riso mio». Ma qui Dante, a significare in qualche modo questo ineffabile crescendo di luce, ricorre a un accorgimento retorico di cui, nella terza cantica, è un poco troppo frequente il ritorno e che a volte può ingenerare nel lettore un principio di stanchezza. Non qui, dove quell'accorgimento che il Croce chiamò «iperbole negativa» riesce a una sorta di «sublime negativo», come ben disse il De Sanctis, espresso da Dante «con l'energia intellettuale di chi ha vivo il senso dell'infinito». Direi che in queste terzine l'andatura un poco didascalica è redenta dall'entusiasmo umanistico che vi spirano i sublimati ricordi mitologici e dalle onde delle vibrazioni musicali. E aggiungerei, chiedendo il permesso d'arrischiare anch'io una similitudine, che Dante è in queste pause come chi ha fissato lo sguardo nel disco abbagliante del sole, e poi, girati gli occhi, vede da per tutto delle macchie nere: testimonianza anche questa della forza di quella luce: Io era come quei che si risente di visione oblita e che s'ingegna indarno di ridurlasi a la mente, quand'io udi' questa profferta, degna di tanto grato, che mai non si stingue del libro che 'l preterito rassegna. Se mo sonasser tutte quelle lingue che Polimnìa con le suore fero del latte lor dolcissimo più pingue, per aiutarmi, al millesmo del vero non si verrìa, cantando il santo riso e quanto il santo aspetto facea mero. Ma le poetiche immagini ritornano, floride e splenden152

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