Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

Eardua vita di Greta Garbo Talleyrand, al termine di una delle più felici carriere che il mondo abbia mai visto, esclamò: «Peut-étre eut-il mieux valu souffrir». Greta Garbo, all'apice del successo, avrebbe confessato ad un amico svedese: «Mi domando se non ho mancato la mia vita». La frase risale a pochi mesi or sono. Fino a nuovo ordine, la maschera biografica di questa donna che in tutti i suoi film ha impersonato l'arduo fallimento di un destino, dovrà coincidere col «ruolo» abituale dell'attrice ed essere quella dell'infelicità. Come, fino a qualche tempo fa, era stata quella del mistero, dell'esistenza segreta che elude ogni indiscrezione. Con una donna come la Garbo, c'è sempre il pericolo di cadere nella letteratura. Ma c'è almeno un'altra frase che vien voglia di assestarle: quella famosa che la sorella Ismene rivolge ad Antigone: «Tu porti nel gelo un'anima di fuoco». Greta è un'Antigone moderna, che mescola il fuoco ed il gelo. La sua vita? Tre frasi: «Sono nata in una casa. Sono cresciuta come crescono tutti. Non mi piaceva andare a scuola». Correva il 1906, mese di novembre. La casa era quella di Swen Gustaffson, piccolo uomo d'affari di Stoccolma. Nel quartiere a sud del Malaren, considerato al137

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