Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

Quelli con cui vive sono davvero i suoi genitori adottivi. Se C. fa fatica a «dire» scozzese-Natale, perché per dirlo deve rinunciare a stare sotto il tavolo, D. addirittura lo racconta, il rapporto con il quadro, risalendo nei secoli i tratti delle mutazioni attraverso le tracce che compaiono nei sogni e nelle architetture dell'uomo. Così parla di un «quadro immaginario» e dice: «È come fatto tutto di colori, come i quadri della preistoria perché, sai, nella preistoria c'erano solo i colori». Anche qui si è rotto il rapporto tra materia e superficie fondamentale. Se C. ignorava il romanzo familiare, D. non è riuscita a farlo nascere dal «luogo della fobia», dalla rappresentazione esterna dell'apparato psichico, la teoria infantile manca il soggetto. Solo ricondotta al piccolo, sollecitata a scendere di tono e a parlare della scuola, D. ritrova il soggetto ricordandosi di una poesia che ha ancora da imparare e che termina così: «alla fine ciascuno ha il suo colore». La compresenza di colore e soggetto muta anche nel primo bambino in bilico tra perversione e psicosi, la terribilità del natale nella scala dell'arcobaleno, ma, soprattutto, in una gradazione che dia parole e non suoni al silenzio del trauma. Il trauma che non ha colpito il perverso, si fa presente nella gradazione che ha accompagnato la discesa darwiniana dell'uomo; sotto un disegno di strisce C. scrive: «I colori dell'arcobaleno si esprimono, e anch'io». Per questi due bambini, il passato è lungo, ma non è il proprio. La permanenza nella perversione, come per D. la mancanza di «rappresentazione», fa sì che non ci sia un proprio passato, ma un'eterna adolescenza mutuata con una vecchiaia all'inizio. Il perverso è un bambino vecchio che gode senza produrre nemmeno un figlio alla madre poiché questo è già avvenuto con lui stesso. Due sono le vecchiaie. Quella all'inizio della vita con la 45

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