Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica 79/80 autunno/inverno 1993-1994 Virginia Pinzi Ghisi 5 Uscire dalla ripetizione - 1. Blu di metilene Virginia Pinzi Ghisi 9 Architetture del soggetto mutante Valerio Marchetti 56 «Every woman is a man» metamorfosi cinquecentesche del corpo Claudine Friedberg 94 Corpo animale, corpo sociale, o la spartizione delle ossa Paola Colaiacomo 118 La casa della critica Harold Bloom 139 Il pathos della grande letteratura Ugo Volli 162 La cicatrice di Odissea Ernesto Treccani 197 Il pentolino di Varsavia Tullio Pericoli 204 Come nasce un ritratto Mauro Covacich 217 La professoressa Ferdinando Amigoni 228 Liliana, la creazione del Pasticciaccio Gabriele Frasca 264 Le inezie e le miserie degli amanti 283 Indice 1993

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola. a questo numero hanno collaborato: Ferdinando Amigoni, Harold Bloom, Paolo Bollini, Rossana Bonadei, Paola Colaiacomo, Mauro Covacich, Virginia Finzi Ghisi, Sergio Finzi, Eleonora Fiorani, Gabriele Frasca, Claudine Friedberg, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mariarosa Mancuso, Valerio Marchetti, Tullio Pericoli, Mario Spinella, Ernesto Treccani, Italo Viola, Ugo Volli. redazione: Via Borgospesso 8, 20121 Milano, te!. (02) 794515 editore: Moretti & Vitali editori, Viale Vittorio Emanuele 67, 24100 Bergamo, te!. (035) 239104 abbonamento annuo 1994 (4 fascicoli): lire 60.000, estero lire 75.000, e.e. postale 11196243 o assegno bancario intestato a: Moretti & Vitali, Viale Vittorio Emanuele 67, 24100 Bergamo registrazione: n. 170 del 6-3-87 del Tribunale di Milano fotocomposizione: News, Via Nino Bixio 4, 20129 Milano stampa: Grafita!, Via Borghetto 13, 24020 Torre Boldone (BG)

Uscire dalla ripetizione 1. Blu di metilene Blu di metilene. Le parole mi vengono dall'infanzia, lo studio del papà medico, forse il mal di gola, o qualche misterioso esame nel piccolo laboratorio annesso allo studio. Le pareti erano rosse, di quel rosso pompeiano che i miei pazienti hanno ritrovato nel mio studio. Il bianco, il terzo colore della bandiera francese che KiesLowski ha scelto come filo conduttore della sua trilogia filmica, per ora non mi dice niente. La tela bianca è angosciante, e anche la pagina bianca. Per questo, credo, la prima superficie fondamentale che il soggetto si sceglie, è un pezzo di paesaggio. Per questo Monet giocava, ancora adulto, su due tastiere. C'era la tela, ma la superficie su cui lavorava era quella del giardino. Blu, la libertà, dice Kieslowski. Come uscire dalla ripetizione? Quando la macchina si sfascia, esce di strada, e il marito e la figlia muoiono, la moglie del musicista si ritrova all'ospedale, immobile, piena di cannucce. Lì incomincia la sua liberazione. Si libera degli spartiti del marito (forse composti da lei), della casa, dei beni, e in un altro quartiere inizia una vita tutta sola. Ma il ricupero di sé del cattolico Kieslowski, la sua libertà, ha un limite nello sguardo di un gatto. Su e giù, nell'acqua blu della piscina, la donna sfoga e ri5

salve i suoi problemi. Nel bell'appartamento, uno squittio rivela, sul fondo di una scatola, una famigliola di topi. La piscina blu accoglie la fuga dal!'appartamento come il letto d'ospedale la fuga dal matrimonio. r;appartamento è chiuso, la piscina rettangolare. La donna terrorizzata («mamma», chiede alla madre paralitica ricoverata in istituto, «mamma, da piccola avevo paura dei topi?») chiede al marito di una vicina in prestito un gatto. È lì, sulle scale, che lo sguardo della donna incontra lo sguardo del gatto. Non è simpatica al gatto. E Kieslowski sceglie per l'umanità. Lei lo immette nell'appartamento chiuso. La libererà dai topi. E ritorna alla piscina. Letto, cannucce, appartamento chiuso, paralisi, piscina, questo viaggio verso la libertà si muove nella claustrofobia. Ci si muove nel sintomo e la fobia non è quella del nostro "luogo" dove anche ciò che è più intimo, come l'apparato psichico, si colloca al di fuori del soggetto. Come uscire dalla ripetizione? C'è anche una psicoanalisi che si regge sulla ripetizione. Se per il Decalogo, per "normalizzare" il cannocchiale del finale del primo film "Non desiderare la donna d'altri", per farlo rientrare nel decalogo, Kieslowski si era consultato con un awocato, qui è lo psicoterapeuta che ciascuno ha in sé a consigliarlo. Conduce all'indietro la donna, (mamma, da piccola avevo paura dei topi?) attraverso certo, anche attraverso la scoperta di verità sgradevoli, il marito aveva un'amante, quest'amante è attualmente incinta, e si ritorna indietro, e si ritorna alla casa, alla musica, fino al rettangolo blu, una piscina più piccola, il monitor blu dell'ecografia, in cui galleggia il feto, il nascituro. Una liberazione che riporta al chiuso nel ventre materno. Ci salva l'occhio furente del gatto. [;uscita dalla ripetizione comporta, passa per l'acquisizione di un soggetto mutante. Forse la donna doveva scoprirsi gatto. Invece di cercare un altro appartamento, mi raccomando identico a quello che lascio, ma senza topi. 6

La pagina bianca accoglie la mistica della scrittura. Per carità, non parlatemi di scrittura. Una pagina è già una mappa, Monet dipinge il suo giardino, qui una ninfea, e il ponte di Hokusai è già lì, dipinto da 90 anni, e le architetture del soggetto mutante mi attirano due pagine più in là. Virginia Finzi Ghisi 7

Architetture del soggetto mutante Tre teste di uomo, padre, figlio, nipote, tre età, vecchiaia, maturità, giovinezza, sovrastano tre teste di animali, lupo, leone, cane. Non è la ragione che domina la ferinità, può essere il pensiero che si struttura in presenza di un animale che abita una strana rappresentazione, il luogo della nascita del soggetto che si inventa una sua particolare posizione rispetto all'origine, alla discendenza, alla famiglia. Innervate nello stesso collo, le sei teste producono, nei cambi di luce, una sorta di mutazione. Il soggetto è un soggetto mutante. In un piccolo paese tutte le donne rimangono improvvisamente gravide. Nasceranno dei bambini che saranno a poco a poco sempre più diversi da loro, sempre più estranei, frutto della diffusione di un seme alieno. Ma la storia di questi bambini protagonisti di un film di fantascienza non è molto dissimile da come ogni bambino vive la propria storia. L'angoscia di un bambino di quattro anni di fronte alla scoperta della sessualità dei genitori e all'intuizione della propria origine, prepara il soggetto mutante. Non è da quei genitori che lui è nato, i genitori veri sono altrove, lontani, di un differente ceto sociale. Il costituirsi di un «romanzo familiare» non segna però 9

obbligatoriamente la fantasia di genitori più potenti o più ricchi, non è motivato da narcisismo o onnipotenza. È qualcosa anzi che «taglia», che dà luogo a limiti e a barriere, se il bambino infatti, come Edipo, o come Mosè, è davvero figlio di re, i genitori alieni sono allora povera gente, contadini. Così un bambino adottato è il solo a pensare che i genitori che lo ospitano, qualsiasi siano le smentite che gli vengono suggerite, siano proprio quelli veri. Il bisogno di mettere una distanza, una diversione, tra sé e la propria origine, dà luogo alla prima «rappresentazione». Il bambino che assiste all'amore dei genitori immagina di vedere una lotta, sposta il sesso su un'altra superficie che non il letto, su una sorta di campo di battaglia. Sulla stessa superficie fondamentale che si appresta a ricevere la rappresentazione, è facile individuare nell'analisi dei bambini e attraverso la sua ripetizione nell'analisi degli adulti, quella che ho chiamato la «prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico», luogo che il bambino si ritaglia, come il piccolo Hans di Freud dalla finestra di casa davanti alla quale la barriera del Dazio era in rappresentanza di un'altra barriera e di altre scansioni, nel paesaggio circostante. Questo luogo, la cui pianta è simile alla struttura complessa dell'apparato psichico, diventa la prima superficie fondamentale a disposizione di un soggetto che per riconoscersi si serve degli strumenti della rappresentazione artistica. Il pittore, il romanziere, usa gli stessi elementi con cui si forma il soggetto, solo che non dimentica la tecnica inventata. Il bambino di quattro anni costruisce dunque con pezzi di realtà come cura alla scena primaria, e taglia con la barriera del divieto all'incesto, quella di un recinto da cui si passa, come Hans, «non dall'ingresso principale», una mappa, rappresentazione esterna delle scansioni dell'apparato psichico che coincidono con l'etica che la scelta 10

della rappresentazione inaugura nella vita del soggetto. Solo il futuro perverso sceglie infatti per la realtà diretta, vede sul letto dei genitori un uomo e una donna che amoreggiano e ne gode, e il rifiuto della prima rappresentazione, di quella prima «falsità» da cui nasce il romanzo familiare, determinerà poi la falsità della sua vita, il teatrino della verità conclamata. Lo psicotico invece, che pure manca il luogo della rappresentazione, è fortemente segnato dall'etica della rappresentazione. È come un pittore senza tela, un soggetto senza superficie fondamentale, un filo diretto con la rappresentazione in sé. Il problema dello psicotico è trovare una tela quando i colori ci sono tutti; quello del nevrotico è di avere da qualche parte la tela, il luogo della prima rappresentazione che si affaccia nella coazione a ripetere, ma di essere sopraffatto dall'inibizione, ancora immerso nel chiaroscuro della latenza, preda del bianco e nero, fermo alla soglia dell'adolescenza nel confronto con la sessualità paterna, incapace di scegliere il «segno d'inizio» del proprio dipinto. Infanzia, vecchiaia, adolescenza, maturità sono tutte scelte dinanzi al primo quadro, ma le mutazioni che riguardano il soggetto hanno come campo una sorta di atelier che lo ospita. Le mutazioni di un soggetto si producono o si riproducono al suo esterno. Quando la mappa è mancata, come per la psicosi, esse coinvolgono il mondo, i rapporti tra nazioni, o tra squadre di calcio, in ideazioni in cui l'andata a segno di un calcio in porta mette la questione della propria origine in sofferenza di una concatenazione causale, o di una disseminazione confusiva, che sono alla base, l'una o l'altra, della paranoia o della schizofrenia. Quando la mappa è rifiutata, come per la perversione, le mutazioni avvengono su un simulacro di rappresentazione, così come il romanzo familiare che avrebbe dovuto formarvisi è sostituito nella vita del perverso dalla costante entratura nella vita degli altri per rubarvi persone, oggetti, situazio11

ni, posti in famiglia, alloggi. La nevrosi accerchia. L'artista rappresenta su una superficie fondamentale la mutazione che il nevrotico ha fissato nella ripetizione casalinga e il perverso mima su una proprietà simulata e lo psicotico realizza nell'esplosione dell'universo. Così il romanzo nasce, e dura, finché è «senza famiglia», storia di orfani e trovatelli, o si misura come il Tristram Shandy di Sterne con il momento stesso della propria origine. È lo spostamento a far nascere insieme Tristram e il Tristram Shandy, il soprassalto per un'inopportuna domanda che la futura madre rivolge al marito (Hai caricato l'orologio?) e il disegnino che Sterne vi introduce a indicare l'a capo, una mano con il dito puntato. Il punto dell'origine trova subito accanto la sua rappresentazione e il racconto della nascita di Tristram si alternerà ai capitoli dedicati allo zio Tobia, reduce di guerra ferito «proprio lì», dove il «proprio lì» diventa un luogo, che zio Tobia architettura in fondo all'orto ricostruendo la zona in cui la battaglia avvenne. Il «luogo», che ho chiamato «luogo della fobia», è insieme anatomico e geografico. Di questi due aspetti, il primo è legato all'incesto e darà come esito i sintomi fobici che prima accompagnano poi oscurano il luogo della fobia, il secondo alla cura, quella che il bambino si offre da sé con la rappresentazione del luogo, e che spingerà l'adulto al suo ripristino. Questo duplice aspetto fa sì che quando Freud notò in un bambino il gioco del rocchetto, il lanciarlo lontano dicendo «via» per poi trattenerlo, contemporaneo alla partenza del padre per la guerra, quel «vai alla guerra», volesse con un'unica rappresentazione ordinare al padre di lasciare libero il posto accanto alla madre, ma insieme notificargli che dal suo fare all'amore era nato il romanzo familiare. Tra quel posto e questo luogo si articolano le posizioni del soggetto tra l'incipit e la conclusione dell'opera. 12

La difficoltà dell'inizio marca la posizione adolescenziale nel confronto, quello che Sergio Pinzi ha chiamato del secondo culmine, con la sessualità paterna che la nebulosità della latenza ha allontanato dall'origine che incombe invece nella psicosi; l'incapacità della fine, l'impossibilità a concludere segna la posizione dell'incestuoso aggrappato alla scena primaria che viene mantenuta in sospeso per potervisi inserire e godere. Le modalità della ripresentazione seguono così le sorti della rappresentazione. Il pensiero si colloca nella distanza geografica progettata nel romanzo familiare e rappresentata nel luogo della fobia, ed è lì che anche l'anatomia già forzata dal bambino con l'introduzione della protesi, servirsi dell'inanimato in funzione di rappresentanza, viene sottoposta a una mutazione sanzionata dalla teoria. La teoria è una teoria infantile che attribuisce il pene alla madre, e in modo più o meno ipotetico alla donna, la nonna, la sorellina; teoria sessuale errata ma alla quale l'inconscio rimane per sempre aderente, e che vacilla solo nella misura in cui riaffiora il fondamento psicotico che precede il luogo della fobia, è una mutazione all'esterno che riguarda però la struttura interna del soggetto: il soggetto si trova in un bilico che è tanto più precario quanto più l'anatomia si regge da sola. Se la fantasia del pene alla madre non si situa nel luogo della fobia, composizione di animato e inanimato, manca la barriera che vi si trova a impedire che nel triangolo del desiderio pene-feci-bambino il bambino funzioni da supporto vivente alla madre e si trasformi lui stesso in protesi. Il ponte del naso che un ingegnere dovrebbe ristrutturare al neonato Tristram di Sterne indica invece una parte anatomica e una protesi parziale e insieme un calcolo, un disegno, una gettata, una struttura architettonica che trova stabilità in un progetto che comprende il soggetto e il mondo circostante. Il soggetto che a quattro anni pensa che la madre abbia 13

un pene e che cancella l'apertura vaginale e che pensa di nascere dall'ano, costruisce una protesi, la innerva, costruisce una barriera, evita l'incesto, smorza il terribile del godimento paterno, impedisce che una nuvola di passaggio insemini le donne di un villaggio, tiene a giusta distanza tra loro i corpi celesti, il suo luogo della fobia regola i rapporti dell'universo. Le grandi domande teoriche che un bambino di quattro anni pone e risolve, la sedia ha il fapipì? quale è la differenza tra animato e inanimato? il nonno morto ha il fapipì? i morti ritornano? un morto è animato?, compongono senza dubbio un mostro, e anche qui è sottile il bilico che permette al soggetto mutante di distinguersi per esempio da un morto vivente. Nel primo film di David Lynch, girato da ragazzo in garage, che si chiama Eraserhead, la mente che cancella, il pensiero dà luogo a un prodotto. Un finestrino, luci che appaiono e scompaiono, rumore, di treno, fanno sì che la testa di uomo che vediamo possa essere quella di un viaggiatore. Dalla testa reclinata esce una forma. Il finestrino del macchinista è sostituito da una finestra murata. La finestra è ora quella dietro la quale una donna è in attesa. E un uomo torna a casa. Non è necessario capire le parole, esse sono cancellate via via che vengono pronunciate. «Hai avuto rapporti sessuali con Mary» «I am very...». Alla tavola alla quale l'uomo ha mangiato con la donna e la sua famiglia, ad agitarsi è il pollo arrosto sul piatto, che ripete i movimenti dell'orgasmo, e a godere è la madre di Mary. Ormai il matrimonio è inevitabile, Mary, marry. Mary ne è incinta. Il nato è una specie di pollo, che piange sempre. Mary ritorna dai genitori e l'uomo cade in tentazione e in peccato con la vicina. Un siparietto mostra una donna bionda che canta, senza suono, con cernecchi bianchi, o biondi, una donna barbuta?, e calpesta qualcosa a terra, un'immacolata concezione. La colpa neanche quella pensata è eliminabile, e la testa dell'uomo dal proscenio cade 14

sul palcoscenico seguita da un fiume di sangue. Ma dal collo mozzo rispunta la testa del figlio della colpa. La testa tagliata dell'uomo viene portata a una macchina che fabbrica matite con gommine in testa, viene trapanata, lavorata, trasformata in matita, viene provata: cancella. Di nuovo la stanza, luci si accendono e spengono, rumori. La vicina va con un altro. Ora il piccolo ha tanti piccoli singulti. Il padre decide di togliergli le fasce che lo avvolgono strettamente. Le fasce riprendono il motivo delle righe del pigiama dell'uomo, della vestaglia, del calorifero a fasce, delle fasce di calce sul muro dell'inizio, del cuscino a righine del piccolo. Prende le forbici, ma mentre taglia le fasce, ciò che si apre è il ventre, le fasce sono il piccolo stesso, non c'è divario tra le righe che segnano la storia dell'uomo nella sua architettura come nella sua psiche, e l'anatomia, tra superficie fondamentale e rappresentazione. Lo uccide colpendolo al cuore scoperto. Incomincia a uscire materia. Riappare la donna bianca del teatrino e ora lui la può abbracciare. Perché il figlio è morto? ma lo è la materia? Riappare il finestrino del treno, finestra della donna, vetro del macchinista, quadro murato della rappresentazione. La testa dell'uomo si china vicino al vetro, c'è una fiamma ossidrica, si brucia, l'immagine si schiarisce. Con la testa, brucia la pellicola. Ciò che si è rappresentato è il rapporto mancato dell'incestuoso con la rappresentazione. Il godimento suscitato nella madre ha riportato alla vita il pollo nel piatto, l'animale morto (quello vivo tutela la prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico, nel luogo dove il bambino risolve l'angoscia e dove la fobia è strutturante di un divieto che riconosce il vivente; qui l'animale che «altrove fa paura» come dice il piccolo Hans, vicino alla barriera vigila sul rapporto uomo natura). E l'animale morto assume i movimenti dell'orgasmo: il frutto che na15

sce è la mutazione che l'incestuoso, incapace di viverla come soggetto, imprime a un mondo inanimato. Non c'è più distinzione tra rappresentazione e modello, la mente cancella il proprio pensiero e l'immagine brucia la pellicola. Mentre i vetri delle finestre determinano la superficie esterna che permette lo svolgersi del film, ciò che vi si narra è il perverso che coincide con una matita che cancella. Il disegno è precluso al perverso che pure vi si dedica per nottate. Intanto nella soffitta invecchia il suo ritratto; la rappresentazione, come la fascia del bambino pollo, è la sua pelle. La sua passione è la fissità. Per il soggetto mutante la rappresentazione esterna nasce dal limite che il perverso ha rifiutato. E dopo quel primo da cui è nato lo spazio della teoria (il pensiero nasce dal luogo della fobia attraversato da una barriera visto dal riquadro di una finestra animato da un animale e complicato dal romanzo familiare e dalle teorie sessuali infantili), tutti i limiti che gli si presentano, la malattia, gli ostacoli, gli handicap, la vecchiaia, sono i luoghi di un ulteriore montaggio con cui il soggetto mutante dà l'avvio a una nuova rappresentazione. Nel 1883 Monet affitta una casa a Giverny. Vi si reca tra un viaggio e l'altro, ma non vi dipinge mai nessun quadro. Al massimo ritocca quadri già dipinti altrove. Nel 1890 improvvisamente decide di acquistare la casa e l'orto giardino che la circonda. Dopo il contratto scopre che una piccola ferrovia la chiude da un lato e subito desidera acquistare lo spazio al di là. Questo spazio diventerà insieme l'oggetto e la superficie fondamentale della rappresentazione. Un limite è nato da un atto legale, ed ecco che acquisizione della proprietà e ostacolo, ideazione e rappresentazione, architettura e natura, fanno sì che da quel momento Monet scelga Giverny come atelier e come modello. È in questo rapporto che il soggetto artista si differenzia dallo psicotico e dal nevrotico. Il soggetto nasce arti16

sta, sa come si usa una superficie fondamentale, conosce le regole della composizione e della prospettiva, si struttura nella rappresentazione, è un soggetto fatto di disegno e di rapporti tra colori, è autore di un romanzo e colloca la sua teoria tra la fantascienza e il montaggio. Ma se il fondamento psicotico lo precede (il «luogo della fobia» serve appunto a prenderne le distanze, a organizzarlo), il futuro che lo attende è in genere quello riduttivo della nevrosi. L'epica barriera del dazio diventa a poco a poco la frangia da non calpestare di un tappeto di casa, e del rapporto animato-inanimato resta il disagio di un sintomo fobico che è pur sempre il segnale che rimane del dimenticato luogo della fobia. Il soggetto dimentica presto di essere nato artista. Già accanto al «luogo della fobia», l'arte si derubrica in tecnica. La stessa tecnica che è servita alle ardite architetture delle teorie sessuali infantili si sgancia dall'invenzione e si fa funzione della ragionevolezza. Nello stesso modo che il «fapipì» del piccolo Hans di Freud dopo essere stato audacemente attribuito alla madre e negato alla sedia in quanto connotato del vivente, viene affidato al destino di una maturazione, «il fapipì è piccolo, ma crescerà», con la stessa ragionevolezza ora l'angoscia non si risolve più nell'invenzione del romanzo familiare, ma nell'affido «a chi sa», il sapere non è più protesi del corpo ma delega, e la figura di un «gestore della tecnica», l'idraulico, il fabbro capaci di sostituire all'occorrenza il fapipì, si interpone tra la capacità di ideare un montaggio del genere e l'impossibilità di realizzarlo di persona. Artista è un soggetto che a costo di essere travolto dalla materia, rinuncia al gestore della tecnica, e successivamente non conosce le attenuazioni e gli incanalamenti di quelle che Freud ha definìto «potenze psichiche», pudore, vergogna, compassione, se non come componenti della rappresentazione, velature di una _tempesta dipinta. 17

Dopo aver incanalato per molti anni anche la psicoanalisi al fine di renderla più domestica, Freud che aveva nel 1913 interpretato il Mosè di Michelangelo come l'eroe che rinuncia all'ira e si siede, una volta esiliato a Londra, sradicato dall'origine, e malato gravemente alla bocca, ritorna su quell'interpretazione per rovesciarla. Mosè non si sta sedendo, ma si sta alzando, l'ira non è sedata ma sta per scoppiare. Da un medesimo punto di vista, la prospettiva è diversa. Ed è da questa reversibilità del tempo che l'arte garantisce, che è possibile un nuovo inizio per la psicoanalisi. I.:ira fa riapparire il romanzo familiare, la discussione sull'origine di Mosè nell'ultima opera che termina nel 1938, Mosè e il monoteismo, lo riallaccia, attraverso lo stesso inceppo alla parola che ha colpito Freud, a l'essere straniero, di un'altra religione, quella egizia, e la psicoanalisi non si trova più a dover sanzionare al posto della Legge tutto ciò che è legittimo. Quando Monet si rivolge al capo del Dipartimento per ottenere il permesso di acquistare il tratto di terra oltre la ferrovia, è ancora un artista sconosciuto. La spiegazione che dà, «mi serve per la mia arte», ottiene un risultato grazie al momento di sbalordimento che l'innesto dell'eterogeneo e dell'incongruo produce, flash del luogo della fobia e delle teorie sessuali infantili. È la stessa manovra dell'irruzione in territorio nemico che il teorico della guerra, Clausewitz, può suggerire a un esercito. Momento estremamente fugace che chi ha dimenticato di essere «nato artista» riconduce alla dimensione della «potenza psichica» che gli è più cara. L'artista è invece un soggetto per il quale il modello del luogo d'origine continua ad essere il campo di battaglia, primissima superficie fondamentale che accoglie la proiezione del luogo della fobia e l'audacia dell'invenzione. Quando Monet si accorge a Giverny della barriera della ferrovia, e ha l'idea della mappa di un possibile giardino 18

il cui accesso rimarrà sempre difficoltoso, è in quel momento che scopre che Giverny stesso è una superficie fondamentale proprio come la tela del pittore. Il passaggio dall'affitto all'acquisto comporta la sanzione della Legge, impone un atto rappresentativo, una trascrizione, una nuova mappa catastale, un intermediario notarile, un tecnico della misurazione, più o meno quello che serve a un bambino per fare di un territorio un'estensione di sé. Un giardino non è quello dell'Eden in cui la colpa originaria invoca l'Immacolata a schiacciare il serpente, non è la sua copia perfetta come il giardino di Arnheim. Gli inglesi costruivano giardini in modo che il verde più lontano dalla casa e più vicino al muro di cinta fosse simile al verde al di là della recinzione. Una finzione prospettica per aumentarne l'estensione, come l'uso delle stoffe a quadri e a strisce inaugura in pittura la prospettiva, riportando sulla superficie fondamentale gli stessi elementi che per la psiche umana segnano la distanza, e insieme la risalita alle precedenti generazioni. Non a caso uno dei quadri che per primo si avvale di questo trucco prospettico rappresenta una Madonna con bambino e, allontanato da quadrati diversi, sullo sfondo, un letto. Il quadro e il rombo insieme con le strisce, le fasce e le bende, uniscono la rappresentazione, che allontana dall'origine, alla guerra che la simula e la esaurisce, la storia dell'uomo alle mutazioni della natura. In tal caso, il giardino non è una copia, ma un modello, non si colloca dalla parte della perversione, ma dell'arte. Ma quando l'architetto Morris sceglie una casa ben lontana da Londra e vede poi riempirsene la distanza di edifici, è allora che inventa quei disegni che le tappezzerie Morris renderanno famosi in tutto il mondo, foglie, verde e tralci sulle pareti di casa. Nella propria, ne tappezza anche i soffitti e i mobili. In questo caso il giardino è rientrato, la rappresentazione coinvolge la pianta stessa della casa, la barriera si riavvicina al corpo. 19

L'architettura del giardino che si costruisce non può essere che imperfetta, attraversata da una ferrovia, limitrofa di una discarica, troppo invasa da Londra, sorvolata come Bloomsbury, dal rombo di aeroplani. Allora che cosa è la tela del pittore se non l'alternativa al tappeto riaggiustato nelle sue frange e ben disteso del bambino che ha imboccato la strada della nevrosi ossessiva, l'alternativa a dipingersi il corpo e a mangiare i colori dello psicotico, l'alternativa a partorire il niente dell'isterico. Il luogo della rappresentazione cui il perverso ha rinunciato. Il giardino di Giverny cresce con i quadri. Giverny non è più il luogo del ritocco, del riaggiustamento della nevrosi. Esce dalla ripetizione ed entra nella serie. La ripetizione è ciò di cui, ancora, non si è colta la forma. È il trasferimento continuo dalla rappresentazione nel reale. È il sintomo, la casa nuova che riproduce una struttura preesistente ma per permettersi vantaggi riparatori. Nel momento in cui se ne chiarisce la forma, dal sintomo nel reale si risale alla rappresentazione. Il percorso che non si ferma ai sintomi fobici ma riconduce il soggetto al «luogo della fobia», dove la «riparazione» non è affidata alla ripetizione ma alla tecnica senza gestore, che è l'arte. La ripetizione è l'incidente che si inserisce e dà forma alla vita, la serie è la vita che dà forma all'incidente. Quando insegno agli analisti in formazione che lo spazio intorno ai bambini fa parte del loro corpo, indico ciò che è per il soggetto la storia del mondo in cui viene a trovarsi, e per il pittore il paesaggio. La serie delle vedute di Hokusai, «pazzo per il disegno», che coglie il profilo del monte Fuji nelle luci violacee dell'alba, nella nebbia, sotto la pioggia, al tramonto, nella luce più rossa, significa come gli incidenti del tempo, dell'ora, del clima fanno risaltare nelle mutazioni il nome della forma. Giverny al di là della ferrovia diventa lo stagno delle 20

ninfee, il luogo della citazione del ponte di Hokusai, il riconoscimento che Monet tributa al maestro lavorando alla rappresentazione di sé. Il nevrotico è separato dalla tecnica quanto è separato dal nome del padre, quanto è incapace di accettare di «discendere», fermo nella ricerca tormentosa dell'inizio perfetto. Lo psicotico ne è sconvolto quanto si identifica a questo nome. Straniero non è il padre, spinto oltre il confine dal perverso che ne vuole occupare il posto, straniero è il soggetto che sposta la propria origine altrove ma mantiene la presenza paterna non nel godimento cui identificarsi ma nella Legge in cui ereditare. È nella Legge per la quale l'eredità è sempre parziale, in parte persa, in parte destinata ad altri, in parte decurtata da tributi, che il nome del padre resta «metà», non raggiunge quella totalità che tenta di comporre il serial killer quando nelle membra sparse delle sue vittime lascia il segno con cui firma le sue opere. Qui la serie è falsa, è il tentativo del plagiatore. È la ripetizione che si accanisce, non la modulazione che si rinnova, nel luogo deputato non c'è coesistenza ma coincidenza di animato e inanimato. E qui la mutazione è mortale. Per il soggetto artista la serie rileva invece la forma e il nome delle cose, che le mutazioni non alterano né la molteplicità delle prospettive. Se «il Fuji» è ormai il Fuji nella nebbia, al tramonto, sotto la neve, dei titoli di Hokusai, la montagna Sainte-Victoire è di Cézanne, quella vista, come Cézanne scriveva nelle ultime lettere al figlio, «mettendomi davanti a qualcosa per dei mesi senza cambiare posto, solo inchinandomi un po' più a destra, o un po' più a sinistra», come unico sistema perché le variazioni, gli stessi appannamenti, rivelassero nella serie la struttura, nel mutamento che la vecchiaia propria e la distruzione altrui («Tutto scompare», scrive Cézanne pensando alla Provenza come l'aveva conosciuta) imprimevano al soggetto e alle cose. 21

. Conosco una donna che univa la passione per l'architettura a quella di far sì che gli uomini credessero di essere molto amati da lei, tanto da dovervi rinunciare come si fa con ogni grande amore. Allora il suo modo di amare era di mostrare ad uno come l'avrebbe ricordato per sempre, a un altro come forse non l'aveva amato mai, in una gamma di variazioni a costituire la serie degli amanti in cui ciascuno poteva ravvisare, volendo, l'incidente e l'ora occorsa a dare forma di vigliaccheria alla propria vita. «Hans, hai paura dei cavalli?». «Solo durante la passeggiata, non mi fanno paura se sono sulla pedana del Dazio». Nel luogo della fobia il bambino ha a disposizione per l'eroismo la superficie fondamentale. Dalla finestra, dalla cornice, Hans inventa un passaggio inesistente nel recinto del Dazio trascurando il cancello aperto. Il lavoro sulla superficie fondamentale crea le teorie sessuali infantili e riconosce l'importanza dell'ostacolo e della barriera. È questo il tratto eroico che una successiva scelta per la nevrosi smorzerà. L'accettazione genitale come esito di maturazione equivale alla sistemazione economica che nel matrimonio unisce il massimo di resa al minimo di dispendio, compensando la nevrosi che ne inverte i termini. Nel «luogo della fobia» si affaccia un binomio, eroismo o viltà, che perdura nella latenza, quando il motivo che l'ha suscitato si eclissa per riapparire con violenza nell'adolescenza: allora l'interrogativo etico «viltà o eroismo» perde il carattere di fantasia e di gioco che l'ha contornato tra i sei e i tredici anni, e si presenta drammatico, impellente, questione di vita o di morte. Il secondo culmine della vita sessuale, il ripresentarsi in sé della sessualità paterna, confronto ancor più insostenibile, può riprodurre la disseminazione spermatica con la schizofrenia, o spingere a scegliere la morte. In mancanza di una scelta radicale nell'inconscio per l'audacia delle teorie sessuali infantili, per l'eroismo del romanzo familiare, la viltà, tra 22

la rinuncia estrema e la rinuncia quotidiana, diventa la forma stereotipa del soggetto adulto. Il soggetto mutante che nasce dalle teorie sessuali infantili è lo stesso che in Non composto nello spazio di Paul Klee si trova a coesistere con una molteplicità di prospettive, da destra, da sinistra, dall'alto, dal basso, con gli oggetti e con la stessa matita che li disegna. La «serie» di quadri e di rombi che segna la «discesa dell'uomo» non può essere risalita per via genealogica di figlio in padre, ma implica tanti piccoli spostamenti laterali, una falsa genealogia, e l'opera che coglie i mutamenti nei profili delle forme. La prima «serie» di Monet nasce parallela alla decisione dell'acquisto di Giverny. Il critico Geffroy conduce Monet nel villaggio dove vive Maurice Rollinat che ha pubblicato una raccolta di poesie intitolata Les Névroses. Qui Monet dipinge ventiquattro vedute del fiume Creuse tra le colline, nel punto in cui le due Creuse, la Petite Creuse e la Grande Creuse convergono. Dieci hanno esattamente lo stesso punto di vista e quasi la medesima composizione. Un cuneo d'acqua si inserisce tra due colline. The Creuse (Sunset), 1889 23

Le due colline ripetono i due lati di convergenza in uno, che non appaiono sulle tele, costituiti dalle due Creuse. In questo modo, la rappresentazione sposta la ipsilon d'acqua in una di terra e il cuneo formato dalle linee di terra prende il nome dell'acqua. Valley o/ the Creuse (Evening El/ect), 1889 Valley o/ the Creuse (Gray day), 1889 24

Così le due forme elaborate da Sergio Pinzi, del cuneo darwiniano figura di una tecnica applicata dai lombrichi e insieme della fecondazione sulla terra, i «mille cunei» che la colpiscono, e quella della ipsilon che dall'antichità rappresenta la materia liquida spermatica, che dal mare si incanala nella lettera in un percorso che va dalla storia della Grecia al romanzo di Rabelais, si scambiano sulla tela di Monet materia e forma. La superficie fondamentale, che è quella disposta a ricevere, dice Klee, ogni componente dell'opera d'arte, ha questo rapporto con l'oggetto, lo spostamento, l'inversione, che fa del sogno stesso una sorta di superficie fondamentale per i residui e i segni del tempo, dove la poesia apre le pareti delle «nevrosi», senza che cadano le difese alla psicosi. Ritornato a Giverny, la serie dei Covoni (1890-1891) successiva all'acquisto della prima proprietà, riprende le forme tondeggianti delle due colline, i covoni raffigurati sono due, che si distanziano ciascuno con la sua ombra. I covoni sono rappresentati con diversi tempi atmosferici, perfino con «effetto di neve», ma manca il vento a disperdere e diffondere il segno della fertilità della terra. Grainstacks (Snow effect; sunlight) 25

Grainstacks (End o/ summer), 1890-91 La serie si colloca a bilancia tra follia e ripetizione. Il cuneo nella terra è il passo nella realtà cui il genio e la tecnica del lombrico ha però già conferito forma e funzione non di fare, ma di tappare un buco. Il casting dei lombrichi costruisce castelli sulla mèta genitale come la ipsilon di colline sostituisce nella rappresentazione quella liquida delle due Creuse. La serie conosce le variazioni ma sembra escludere l'unica pericolosa, quella mortale che genera la vita. Ottenuto il terreno per lo stagno delle ninfee, Monet si trova a lavorare su due superfici fondamentali ed è a questo punto che può nascere una «teoria della serie». Tra il 1892 e il 1895 si colloca la serie della Cattedrale di Rouen. Ottenuto Giverny, Monet si sposta di una sessantina di chilometri e sceglie dapprima di soggiornare all'Hotel d'Angleterre, di fronte alla cattedrale. Ha difficoltà a porre un termine ai lavori. Monet decide nuovamente di spostarsi, questa volta sempre nella stessa piazza, in un altro appartamento. Da qui, della Cattedrale è visibile un angolo. Facciata e angolo appaiono alternativamente nella serie. La facciata è colpita dal cuneo dello 26

sguardo; lo spostamento che suscita l'angolo dell'edificio trasforma il cuneo nella ipsilon dell'angolo tridimensionale, la costa verticale si aggiunge alle due direzioni orizzontali, Y. La punta del cuneo non è più penetrante e si eleva in architettura, dalla superficie in su. Nel frattempo si è formalizzato l'acquisto di Giverny. Le prime opere della serie sono datate 1892-1894. Le successive, in cui si evidenzia l'elemento della torre, la Tour d'Albane, 1894. La Torre è apparsa grazie a un ulteriore spostamento. Monet non ritrova libero l'alloggio abitato precedentemente e non riesce neppure a riavere nell'albergo la stanza che gli dava il primo punto di vista, quello della prospettiva di faccia. Si sposta così ancora più di lato, alcune porte più in là, e l'angolo si accentua, dalla parte della torre. Rouen Cathedral - Façade, 1892-94 e Rouen Cathedral - Façade e Tour d'Albane (Morning effect), 1892-94 Questo fatto, o l'acquisto finalmente avvenuto dello «stagno delle ninfee», permettono a Monet di scrivere in una lettera di aver superato la difficoltà a terminare: la questione della «fine» è risolta. 27

La fine si lega all'uso dell'handicap. L'handicap non è una mancanza, ma un'aggiunta. Non qualcosa in meno, ma qualcosa di più. Il peso maggiore del biroccio attaccato al cavallo, i punti da aggiungere all'inizio di una gara. L'handicap è una protesi iniziale che appartiene al soggetto e all'estrinsecarsi delle sue potenzialità. Non è il bastone della vecchiaia ma il fapipì che il bambino aggiunge, al disegno della giraffa, alla madre, a se stesso. L'handicap fa parte, come la torre che una serie di circostanze rende più vicina e visibile, di un punto di vista iniziale che consente la «fine», quella fine che è l'apparire di una forma desiderata. L'elenco di «handicap» presenti alle Olimpiadi 1992 ci dà una nuova anatomia del soggetto. La fiorettista medaglia d'oro Diana Biancheoli ha supplito a un'altezza minima di m. 1,58 con la velocità in pedana che bilancia la mancanza di potenza. Anche a scuola era un po' «corta», la chiamavano «la Gina», modo di dire nella sua provincia lombarda per indicare una ragazzina un po' scema e timida. Giovanna Trillini, due medaglie d'oro con un ginocchio sostenuto da una gabbia metallica, ha iniziato il fioretto per esercitare i muscoli di una spalla in seguito alla rottura di una clavicola. La donna più veloce del mondo nei 100 metri è Gail Devens, fino all'anno scorso, malata del morbo di Graves, si parlava di amputarle i piedi. L'handicap fa parte di una gara ma il suo modo di smorzare l'eccesso non ha niente a che vedere con l'acquiescenza alle potenze psichiche (l'ira nascosta), né con la sublimazione. Lo spostamento che l'ostacolo determina, permette l'acquisizione di una nuova superficie fondamentale, lo stagno delle ninfee, e di un'ulteriore prospettiva, dalla facciata alla torre. L'handicap viene prima delle limitazioni e dell'impoverimento della nevrosi, appartiene alla formazione del soggetto nello spazio teorico determinato da un'anatomia composita. L'handicap è parte del paesaggio. 28

Quando nel 1913 Freud indugia sul Mosè di Michelangelo cui dedica in quell'anno un saggio, ma che lo intriga in tutto il corso della sua vita, legge nel Mosè non «l'avvio a un'azione violenta», ma lo spegnersi di un movimento cui segue la rinuncia ad essa. Quando mi sono soffermata sul «Cefalòpodo» e le «forme estreme dell'amore», a partire dal primo disegno del bambino, un cerchio al quale successivamente verranno direttamente attaccati gli arti, e la figura si muoverà, per abitare a quattro anni le configurazioni di quello che ho chiamato «luogo della fobia», fino a prendere in esame la figura di Mosè in Freud, dallo studio sul Mosè di Michelangelo a Mosè e il monoteismo, in gioco erano sempre l'inizio e la fine. Per arrivare a capire l'inizio, Freud deve arrivare alla fine. Nel 1913 Freud non ha accettato l'handicap che poteva rallentare la sua corsa al successo, l'essere ebreo e il parlare contro la famiglia. L'importanza positiva che dà alle «potenze psichiche», tra cui la pietà, l'amore e il riconoscimento dei genitori, contrasta con le teorie sessuali infantili. D'altra parte, la consapevolezza della propria «vera origine» ebraica lo porta a considerarsi un potenziale escluso dalla diffusione delle proprie idee. Alla fine della vita, Freud ormai lontano da Vienna, spostato di prospettiva e discosto dal luogo dove aveva desiderato e ottenuto il consenso, è accompagnato nel suo Esodo dal pensiero di Mosè. È l'esodo degli Ebrei dall'Egitto, il lungo viaggio attraverso popolazioni diverse, tribù ostili, religioni differenti, che fa di Mosè un condottiero, e un legislatore, proprio mentre mette in dubbio la sua origine. Nacque ebreo Mosè? o non fu piuttosto egizio? Da questo esodo si è determinato per gli ebrei l'handicap, il peso e le limitazioni che li accompagnano giornalmente. I regolamenti sui confini e sulla purezza, nascono dallo spostamento e dalla mescolanza. Il distintivo, dall'incertezza dell'origine. Freud a Londra, con la lingua inceppata, la bocca deva29

stata dalla malattia, si accorge che, a Vienna, aveva parlato per cercarsi il consenso. Il suo Mosè era funzionale al discorso mitigatore delle «potenze psichiche», si piegava, come riconobbe a Londra, a conciliare la psicoanalisi «con ciò che poteva essere accetto alla Chiesa cattolica». Ma ora l'handicap ritrovato discosta Freud dalla mèta genitale nonostante tutto perseguita, e lo riporta nel regno delle teorie sessuali infantili. La discussione sull'origine di Mosè in Mosè e il monoteismo, che contiene l'ipotesi che l'inceppo di Mosè a parlare fosse in realtà dovuto a un suo essere «straniero», ha la stessa determinazione con cui il bambino nel luogo della fobia innesta il suo «romanzo familiare», che non è affatto come ebbe a dire Freud nel 1914 il «romanzo familiare dei nevrotici», cioè un sintomo, ma il romanzo del costituirsi del soggetto, cui la nevrosi porrà rimedio, e freno. Lo spostamento che il bambino effettua di sé in un'altra famiglia immaginaria, con genitori altrove, lo avvicina alla prospettiva della «torre». Il romanzo familiare permette al bambino di spostare sulla tela della rappresentazione la questione bruciante dell'origine e, con il poter dire «non siete i miei veri genitori», di inaugurare le teorie sessuali infantili lasciando al solo perverso la verità unica su cui fonderà le sue menzogne. A Londra, spostato fuori della sua «famiglia», Freud ricupera l'ira di Mosè. Mosè non si sta sedendo, nell'opera di Michelangelo, ma al contrario si sta alzando. Il rebus che avevo proposto «non nascondere l'ira» sta trovando la sua soluzione. L'ira di Mosè «pareggia i conti» con il suo popolo e gli ebrei sapranno bene che cosa fare di un handicap. La forma ebraica in quel momento si incide nel mondo e popolerà da allora i sogni degli analizzanti cattolici. È nato allora, «à rebours», quel significante universale che, dopo !'«invenzione» dell'inconscio da parte di Freud, il suo cioè ritrovamento, Lacan si lamenterà incapace di scoprire. 30

Contemporaneamente, anche per Freud, l'handicap si ripropone come inizio. Con Mosè e il monoteismo riesce a rovesciare la prospettiva falsata della psicoanalisi, ed è da lì che noi possiamo ripartire a rifondarla. Ma insieme la sua collezione di statuette mute riacquista la lingua. Perché Freud aveva raccolto per tutta la sua vita statuette egizie? Inspiegabile se non alla fine, con la fine. Freud che si era negato l'handicap di essere ebreo, è in · grado ora di scoprire l'equivoco che ha limitato la sua teoria. In realtà, Freud non era un «vero ebreo» era un ebreo «straniero» nato da un romanzo familiare, che è il luogo da cui è nato lo stesso popolo ebraico. L'handicap alla lingua, il freno alla diffusione, allo spargimento del seme, al far nascere figli in tutto il mondo, gli fa scoprire di parlare la lingua di un'architettura cuneiforme che punta all'origine nei cieli. La vecchiaia è un punto di vista che implica la conclusione. Monet che ha ritoccato per anni i suoi quadri, che ha scoperto come solo i «piccoli spostamenti» gli consentivano di terminare un'opera, a un certo punto si ammala agli occhi. Dopo che un'operazione ha sollevato il velo che gli aveva offuscato la vista, Monet si accorge che lo stesso velo aveva appannato i colori dei quadri dipinti. Eppure, tra tutti, quei quadri sono gli unici che non ritoccherà mai. L'handicap ha consentito una fine felice, il raggiungimento della forma desiderata. A una donna in analisi lo spostamento della trachea porta a un'operazione in cui perde una corda vocale. Da quel momento, la donna si dedica a un'attività in cui il parlare per ore a voce molto alta mette in evidenza una doppia funzione dell'handicap. La donna è riuscita a ottenere il successo nel luogo dell'handicap, ma forse il parlare troppo le ha impedito di scrivere. Se la perdita anche dell'altra corda vocale glielo dovesse consentire, sarebbe una di quelle «forme estreme dell'amore» che nel film di 31

Tod Browning «Lo sconosciuto» (The Unknown) trovano nell'amputazione di entrambe le braccia l'offerta a un amore che serve contemporaneamente a far perdere le tracce di un delitto commesso. La donna in questione aveva da bambina sfidato l'udito della madre addormentata insultandola a voce sempre più alta. La gradazione che acquista intensità avvicina il soggetto alla situazione incestuosa che contorna la figura del padre primordiale, l'handicap interrompe il crescendo e crea un nuovo inizio alla sfida del soggetto. Le modalità dell'handicap si definiscono nel luogo dell'origine, e così quelle della vecchiaia. La generazione porta con sé la necessità di una «sopravvivenza», tanto più pressante quanto più si rimane prossimi alla generazione. Lo psicotico ne è vittima, il «nevrotico di guerra in tempo di pace» ne è l'infelice eroe. La condizione di «ristrettezza» che la psicosi induce come necessaria sostituisce il confine che è mancato nel luogo della fobia, ma anche è uno stimolo a sopravvivere. Nell'identificazione alla materia del godimento paterno, ciò a cui si deve sopravvivere è praticamente tutto. La sopravvivenza del nevrotico è più mirata. Il nevrotico si è allontanato dall'origine, il romanzo familiare e le teorie sessuali infantili nel luogo della fobia lo hanno strutturato nella rappresentazione. L'introduzione tuttavia di un «gestore della tecnica» nel luogo della fobia (le figure del fabbro, dell'idraulico a innestare le protesi artificiali) ha sanzionato la difficoltà a manipolare direttamente la materia del fondamento psicotico (tutto quanto cioè precede il costituirsi del soggetto nel luogo della fobia). Nel «nevrotico di guerra in tempo di pace», questa particolare figura di nevrotico che Sergio Finzi ha definito, lo spostamento dell'atto generativo nella guerra è stato «troppo reale». La superficie fondamentale non è per lui solo la tela della rappresentazione, ma il telone filmico dove muoversi da protagonista. Una leggera confusio32

ne tra i due piani, il giardino delle ninfee e la tela, che rende molti suoi sintomi assai simili a manifestazioni psicotiche. Non ha solo «rappresentato con la guerra», dalla guerra è stato ferito, al posto del padre o del nonno. La sopravvivenza ha allora un nemico che non è il persecutore del paranoico, ma il parente proprio o acquisito che può testimoniare che lui, dalla guerra, questa volta non è tornato. Ogni giorno, il nevrotico di guerra in tempo di pace, deve sopravvivere a una nonna, a una cugina, a un cognato. Il perverso, che ha mandato «davvero» il padre alla guerra e l'ha sostituito presso la madre, è impegnato invece a sopravvivere al padre perché la sua costruzione, che ha preso il posto dell'architettura del luogo della fobia e del romanzo familiare, non crolli mostrando che il padre è vivo e presente. Il passaggio del perverso alla psicosi, il maniaco che arriva a uccidere il bambino, è suscitato da un brusco riemergere del padre. Allora la sopravvivenza comporta uno scambio drammatico nel quale il perverso si trova ad occupare contemporaneamente il posto del padre e del bambino. D'altra parte, il nevrotico ha anche la necessità di sopravvivere ai propri figli, perché dopo aver demandato loro la propria possibilità di durare nei secoli, li sente come mostri mutanti che da piccoli si sono fatti così grandi da strangolarlo, e tende a eliminarli per riacquistare lo spazio perduto. Dal passato il presente agisce per non guastare l'azione futura. «Prudentemente», dice l'iscrizione all'Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza, secondo l'interpretazione che i critici hanno dato al dipinto di Tiziano del 1565, raffigurante tre teste di uomo, uno anziano di profilo, uno maturo di faccia, e a destra il terzo, giovane, ancora di profilo, che sovrastano tre teste di animale, un lupo, un leone, un cane. 33

I tre ritratti hanno una illuminazione progressiva da sinistra a destra, il giovane è in piena luce. Sono da sinistra l'autoritratto di Tiziano, il ritratto di faccia del figlio Orazio, e infine, sopra al cane, quello di Marco, il nipote. La lettura che i critici hanno dato all'iscrizione è quella della vecchiaia, tempo di una vita che sta spegnendosi, che trova continuità nelle «generazioni viventi». Ma è il 1565, e il cane, umile e fedele amico dell'uomo, sottomesso al volere del padrone, è già scomparso. Il nipote Marco, il profilo in piena luce, è infatti morto dal 1561. Come potrebbe Tiziano vecchio pensare di trovare la sua continuità in «una giovane generazione vivente» quando questa è già morta? Proviamo a rivedere l'iscrizione. In alto a sinistra troviamo nel dipinto Ex praete-rito; nel mezzo Praesens prudent-ter agit; a destra Ni futuru actione de-turpet. La M che i critici aggiungono a «futurum» e «actionem» non basta a far tradurre «azione futura». Allora la M, che è quella di Marco, manca solo a «futuru». Il futuro manca di Marco. E «actione» è un ablativo: con l'azione. L'iscrizione può essere tradotta non «per non guastare l'azione futura», 34

ma «perché il futuro non deturpi con l'azione». Ed è appunto perché questo non avvenga che Tiziano gli ha tolto la M. Marco è ricondotto nell'inanimato per la tranquillità del nonno. Di fronte, di faccia al pittore che dipinge rimane il figlio Orazio. Ma il figlio che fronteggia il padre è destinato a morire. Se la vecchiaia è la sconfitta di fronte alla vita, se è il venir meno della vita di fronte a un'altra vita, dove è collocabile la vecchiaia? Per il perverso che opta per il morto e vi si identifica ed evitando il luogo della fobia evita di nascere come soggetto, la vecchiaia è all'inizio. Egli sa troppe cose sulla sessualità, sul godimento, sulla morte, nel futuro c'è l'immutabile. L'adolescente che esce dalla latenza è un mutante che ha paura di se stesso. Nel secondo faccia a faccia con il padre, il primo l'ha risolto architettando il luogo della fobia, esita di fronte a una propria azione futura, il godimento del padre gli faceva terrore, ma il proprio gli fa orrore. Di fronte alla vita, l'adolescente ha il punto di vista della vecchiaia. Guarda all'indietro e conscio di ciò che aveva dimenticato può abbandonarsi alla violenza che aveva sentito nel padre e identificarsi al suo esito, è lì, a quell'età, che può sorgere la schizofrenia che ho definito una identificazione alla materia spermatica, oppure può rifiutarla, nel padre e in sé e preferire la morte. Non ci si può collocare di faccia, al padre che dipinge. La silhouette è il disegno che testimonia nei sogni del1'adolescente e dell'adulto in analisi la necessità del profilo. Non a caso la silhouette riguarda, in medaglioni o in picchi, i genitori, morti o presenti nei culmini della sessualità. Tiziano ha paura della morte. Per due volte la peste colpisce Venezia. I suoi dipinti sono attraversati dalla paura e si ripropone il trittico della sopravvivenza. 35

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