Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

ninfee, il luogo della citazione del ponte di Hokusai, il riconoscimento che Monet tributa al maestro lavorando alla rappresentazione di sé. Il nevrotico è separato dalla tecnica quanto è separato dal nome del padre, quanto è incapace di accettare di «discendere», fermo nella ricerca tormentosa dell'inizio perfetto. Lo psicotico ne è sconvolto quanto si identifica a questo nome. Straniero non è il padre, spinto oltre il confine dal perverso che ne vuole occupare il posto, straniero è il soggetto che sposta la propria origine altrove ma mantiene la presenza paterna non nel godimento cui identificarsi ma nella Legge in cui ereditare. È nella Legge per la quale l'eredità è sempre parziale, in parte persa, in parte destinata ad altri, in parte decurtata da tributi, che il nome del padre resta «metà», non raggiunge quella totalità che tenta di comporre il serial killer quando nelle membra sparse delle sue vittime lascia il segno con cui firma le sue opere. Qui la serie è falsa, è il tentativo del plagiatore. È la ripetizione che si accanisce, non la modulazione che si rinnova, nel luogo deputato non c'è coesistenza ma coincidenza di animato e inanimato. E qui la mutazione è mortale. Per il soggetto artista la serie rileva invece la forma e il nome delle cose, che le mutazioni non alterano né la molteplicità delle prospettive. Se «il Fuji» è ormai il Fuji nella nebbia, al tramonto, sotto la neve, dei titoli di Hokusai, la montagna Sainte-Victoire è di Cézanne, quella vista, come Cézanne scriveva nelle ultime lettere al figlio, «mettendomi davanti a qualcosa per dei mesi senza cambiare posto, solo inchinandomi un po' più a destra, o un po' più a sinistra», come unico sistema perché le variazioni, gli stessi appannamenti, rivelassero nella serie la struttura, nel mutamento che la vecchiaia propria e la distruzione altrui («Tutto scompare», scrive Cézanne pensando alla Provenza come l'aveva conosciuta) imprimevano al soggetto e alle cose. 21

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