Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

L'architettura del giardino che si costruisce non può essere che imperfetta, attraversata da una ferrovia, limitrofa di una discarica, troppo invasa da Londra, sorvolata come Bloomsbury, dal rombo di aeroplani. Allora che cosa è la tela del pittore se non l'alternativa al tappeto riaggiustato nelle sue frange e ben disteso del bambino che ha imboccato la strada della nevrosi ossessiva, l'alternativa a dipingersi il corpo e a mangiare i colori dello psicotico, l'alternativa a partorire il niente dell'isterico. Il luogo della rappresentazione cui il perverso ha rinunciato. Il giardino di Giverny cresce con i quadri. Giverny non è più il luogo del ritocco, del riaggiustamento della nevrosi. Esce dalla ripetizione ed entra nella serie. La ripetizione è ciò di cui, ancora, non si è colta la forma. È il trasferimento continuo dalla rappresentazione nel reale. È il sintomo, la casa nuova che riproduce una struttura preesistente ma per permettersi vantaggi riparatori. Nel momento in cui se ne chiarisce la forma, dal sintomo nel reale si risale alla rappresentazione. Il percorso che non si ferma ai sintomi fobici ma riconduce il soggetto al «luogo della fobia», dove la «riparazione» non è affidata alla ripetizione ma alla tecnica senza gestore, che è l'arte. La ripetizione è l'incidente che si inserisce e dà forma alla vita, la serie è la vita che dà forma all'incidente. Quando insegno agli analisti in formazione che lo spazio intorno ai bambini fa parte del loro corpo, indico ciò che è per il soggetto la storia del mondo in cui viene a trovarsi, e per il pittore il paesaggio. La serie delle vedute di Hokusai, «pazzo per il disegno», che coglie il profilo del monte Fuji nelle luci violacee dell'alba, nella nebbia, sotto la pioggia, al tramonto, nella luce più rossa, significa come gli incidenti del tempo, dell'ora, del clima fanno risaltare nelle mutazioni il nome della forma. Giverny al di là della ferrovia diventa lo stagno delle 20

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