Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

chiamò Abram e gli disse: «che cosa mi hai fatto? Perché non mi hai detto che era tua moglie? Perché hai detto "Essa è mia sorella!" in modo che io me la son presa per moglie? Ora eccoti tua moglie, prendila e vattene!» Si tratta forse della prova generale di un'altra discesa di Israel in Egitto, che avverrà tre generazioni dopo. Quel che ci interessa è che il primo soggetto della storia ebraica, il primo che ha una funzione storica attiva, che non si limita a obbedire ai decreti divini o a violarli, Abramo, si presenta alla storia con un inganno, con l'esposizione, prudente anche se in questo caso fallimentare, di uno stato di famiglia ingannevole. Anche qui abbiamo in piena evidenza l'anticipazione, la capacità di figurarsi le conseguenze di una situazione; e la capacità semiotica di compiere delle scelte strategiche, di preparare dei mascheramenti per modificare questa previsione; anche qui, sebbene più implicitamente, troviamo una capacità di autodominio: non dev'essere simpatico, per un patriarca maschilista come Abramo starsene a contare le pecore mentre il proprio ospite si porta a letto la moglie. E abbiamo, chiaramente, l'imputazione. Nelle parole del Faraone si può cogliere forse una certa stupefazione, un restare attoniti per un gesto inaudito: che cosa significa mentire, in questo ambito? Perché si manipola la propria identità? Chi è quel pericoloso e sconcertante personaggio che falsifica la propria condizione familiare benché goda di protezioni celesti così potenti? Per questa ragione, forse, l'oltraggio è pagato solo con l'espulsione. Nel testo della Genesi troveremo diversi altri inganni e mascheramenti, come quello con cui il nipote di Abramo, Giacobbe, sottrae a Isacco la benedizione di Esaù sotto una pelle di capra che simula la lanugine del fratello, o la pompa imperiale «quasi da Faraone» con cui Giuseppe riceve i suoi fratelli per non farsi riconoscere da loro. Ma non è q�esto il luogo per analizzare tali comportamenti. 184

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