Dopo aver incanalato per molti anni anche la psicoanalisi al fine di renderla più domestica, Freud che aveva nel 1913 interpretato il Mosè di Michelangelo come l'eroe che rinuncia all'ira e si siede, una volta esiliato a Londra, sradicato dall'origine, e malato gravemente alla bocca, ritorna su quell'interpretazione per rovesciarla. Mosè non si sta sedendo, ma si sta alzando, l'ira non è sedata ma sta per scoppiare. Da un medesimo punto di vista, la prospettiva è diversa. Ed è da questa reversibilità del tempo che l'arte garantisce, che è possibile un nuovo inizio per la psicoanalisi. I.:ira fa riapparire il romanzo familiare, la discussione sull'origine di Mosè nell'ultima opera che termina nel 1938, Mosè e il monoteismo, lo riallaccia, attraverso lo stesso inceppo alla parola che ha colpito Freud, a l'essere straniero, di un'altra religione, quella egizia, e la psicoanalisi non si trova più a dover sanzionare al posto della Legge tutto ciò che è legittimo. Quando Monet si rivolge al capo del Dipartimento per ottenere il permesso di acquistare il tratto di terra oltre la ferrovia, è ancora un artista sconosciuto. La spiegazione che dà, «mi serve per la mia arte», ottiene un risultato grazie al momento di sbalordimento che l'innesto dell'eterogeneo e dell'incongruo produce, flash del luogo della fobia e delle teorie sessuali infantili. È la stessa manovra dell'irruzione in territorio nemico che il teorico della guerra, Clausewitz, può suggerire a un esercito. Momento estremamente fugace che chi ha dimenticato di essere «nato artista» riconduce alla dimensione della «potenza psichica» che gli è più cara. L'artista è invece un soggetto per il quale il modello del luogo d'origine continua ad essere il campo di battaglia, primissima superficie fondamentale che accoglie la proiezione del luogo della fobia e l'audacia dell'invenzione. Quando Monet si accorge a Giverny della barriera della ferrovia, e ha l'idea della mappa di un possibile giardino 18
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