l'embrione di una struttura temporale estatica dell'esistenza, o almeno quell'unificazione al di là della cronologia, quella «coscienza dell'identità numerica in tempi diversi» che chiedeva Kant per definire la persona: una condizione ben diversa da quella della maggior parte degli eroi omerici, che certamente si raffigurano il futuro, fanno piani, hanno ricordi e desideri, ma non in una modalità così connessa a quel momento cruciale del presente che è la decisione. Un ultimo elemento va sottolineato, ed è la decisione stessa, la capacità di unificare tutto il comportamento della persona, insomma di «comandare», di «usare il corpo come uno strumento», come dirà fra qualche secolo Platone20 . È la funzione che rivendica a sé quello che abbiamo chiamato «il soggetto di Odisseo» e che, se finora ci si era definito solo come un soggetto grammaticale, appare ora abbastanza simile al nostro soggetto psicologico e narrativo (anche se una nozione del genere è gravemente anacronista sul piano teorico: se non la parola ypokeimenon, che originariamente significa «argomento principale», certamente l'idea di soggetto e soprattutto quella di soggettività è estranea anche alla filosofia greca classica e si elabora molto più tardi). Il cuore di Odisseo obbedisce al suo soggetto come Achille fa con la dea, senza poter neppure discutere; si tratta dunque di un potere più assoluto di quello della divinità che deve chiedere gentilmente obbedienza (ai ke pithetai, Il. I, 207) e promettere. Il nostro problema consiste nel comprendere la natura di questo «soggetto di Ulisse» e della lunga schiera che ne deriva. Mi sembra interessante pensare che metis, la ragione calcolante non sia solo un attributo che si aggiunge alla sua natura trascendente di autocoscienza, ma al contrario contribuisca potentemente a costituirla. Se l'autocoscienza è pensata tradizionalmente come intimità a se stesso, trasparenza rispetto al proprio sguardo, bisogna supporre che questa vicinanza si costituisca per contrasto 182
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