Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

to. [...] Poi Caino ebbe a dire con suo fratello Abele. E come essi furono nei campi, Caino insorse contro suo fratello Abele e lo uccise. Il signore disse a Caino: «Dov'è Abele tuo fratello?» Egli rispose: «Non lo so. Sono forse custode di mio fratello?». Difficile non essere colpiti dal carattere quasi automatico di questa storia, in cui non solo non ha alcuno spazio la coscienza in senso morale, ma neppure in senso di consapevolezza di sé. Qualcosa del genere la troviamo anche nel poema di Gilgamesh 11 , che è la più antica composizione epica della cultura medio-orientale, da cui deriva in definitiva la nostra civilizzazione. Nella parte finale del poema, essendo morto il suo amico e compagno di lotte Enkidu, Gilgamesh si rende conto della sua mortalità e vaga alla ricerca di un rimedio, che non troverà. È il primo viaggio iniziatico della nostra storia culturale, il primo compianto per la fragilità dell'uomo. Ma anche in questo contesto fortemente passionale e teso alla definizione della natura mortale dell'uomo, manca qualunque sviluppo di autocoscienza, nel senso almeno di distinzione fra interiorità e mondo, di coscienza come centro interno immediatamente presente a se stesso, di ordine diverso dalla mera sopravvivenza fisica. Torniamo a Omero. Rispetto al panorama delineato finora, ci sono degli indizi che permettono di cogliere le linee di un cambiamento in corso. La figura che nei poemi omerici incarna la nuova antropologia dell'io è Odisseo. Si tratta di un personaggio di cui viene spesso sottolineata la specificità e l'isolamento rispetto ai suoi compagni di avventura, una differenza che viene sottolineata dagli epiteti che gli sono assegnati spesso: polytropos, polymetis, polyfronos, tutti aggettivi che alludono a un'intensificazione, ma forse anche letteralmente a una moltiplicazione, a una diversificazione delle facoltà mentali. Quel 172

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