Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

da un senso di estraneità, di spietatezza e di vuoto. Non possiamo accostarci a questi eroi inventando, dietro i loro occhi fieri, spazi mentali come facciamo con ciascuno di noi. L'uomo dell'Iliade non ha una soggettività come noi; non ha consapevolezza della sua consapevolezza, del mondo, non ha uno spazio mentale interno su cui esercitare l'introspezione [...] La volizione, i progetti, l'iniziativa sono organizzati senza alcuna coscienza e vengono quindi «detti» all'individuo nel linguaggio che gli è familiare, a volte con l'aura visuale di un amico a lui caro o di una figura autorevole o di un «dio», a volte di una semplice voce. L'individuo obbediva a queste voci allucinatorie perché non riusciva a «vedere» da sé che cosa fare6 • Dopo l'Iliade, l'Odissea. E chiunque rilegga questi poemi senza preconcetti e uno dopo l'altro si accorge di quale enorme differenza li divida nella forma mentale[ ...] La crescita verso una coscienza soggettiva nell'Odissea è visibile non solo nel maggior uso delle sue ipostasi preconsce e nella loro interiorità spaziale e personificazione, ma ancor più chiaramente nei fatti trattati e nei rapporti sociali7. Snell è un filologo interessato allo sviluppo dello «spirito» greco; Jaynes ha una sua teoria sulla plasticità dell'organizzazione mentale delle risorse cerebrali, in connessione alla teoria della differenziazione funzionale dei due emisferi e sulle sue conseguenze psichiatriche: si tratta di punti di vista assai diversi. Entrambi concordano nell'indicare gli indizi di una frattura nel più antico corpus scritto della civiltà greca, i poemi omerici. Il punto centrale di questa linea di indagine è l'analisi della terminologia omerica, per vedere quanto della nostra concezione fondamentale della struttura dell'essere umano sia esprimibile attraverso di essa. Si tratta di una misura molto scarsa. Addirittura, scrive Snell, non è possibile rintracciare in Omero 166

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