Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

anima, e, di conseguenza, erano loro ignote molte altre cose, non vogliamo affermare con questo che essi non potessero rallegrarsi o pensare a qualche cosa e così via, il che sarebbe assurdo; intendiamo piuttosto dire che quelle cose non venivano interpretate come azione dello spirito o dell'anima: in questo senso si può dire che non esisteva al tempo di Omero né lo spirito né l'anima[...] Naturalmente esisteva già «qualcosa» che stava al posto di quello che i Greci di età più tarda concepirono come spirito o come anima - in questo senso i Greci di Omero possedevano naturalmente uno spirito e un'anima-; sarebbe tuttavia un controsenso dire che essi avevano spirito e anima: perché lo spirito, l'anima, «esistono» soltanto quando se ne acquista coscienza4 • Questo è il punto fondamentale, per decidere dell'inizio di un discorso sulla coscienza occidentale: non stiamo parlando di pianeti o di elementi chimici che si può supporre a buon diritto siano sempre stati lì, anche prima che qualche scienziato arrivasse ad accorgersene, o anche che il primo bipede implume iniziasse la sua lenta ascesa verso l'umanità in qualche savana africana. Stiamo parlando invece di un modo di descrivere (e quindi di concepire ma anche, allo stesso tempo di esperire) l'organizzazione mentale che rende gli uomini differenti dagli altri animali; un modo di organizzazione variabile nella storia e nella diversità delle culture, che noi oggi tendiamo a riconoscere come una convenzione culturale. Per questa ragione e in questo caso, la parola è per davvero la cosa. Per fortuna possiamo raccogliere qualche indizio di tale condizione aurorale dell'io nell'ambito della cultura occidentale scritta. Questo è almeno il parere non solo di quel grande filologo e storico della cultura classica che è stato Bruno Snell5, che abbiamo già citato, ma anche di uno psicologo poco ortodosso come Julian Jaynes: Il quadro che l'Iliade ci presenta è caratterizzato 165

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