Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

tà del genere fosse data in qualche modo, ne potremmo trarre utili indicazioni su che cosa davvero è in crisi (o forse non esiste, è un effetto...). E magari potremmo avere qualche modo di capirne meglio il perché. Non si tratta naturalmente di andare a cercare per davvero il primo io: ricerca impossibile in linea di principio, non solo perché una costruzione del genere non lascia tracce, ma soprattutto perché essa è, a rigore, trascendentale, delimita l'esperienza ma non impedisce né permette direttamente nulla che non sarebbe possibile sotto un'altra costituzione della mente. E neppure si tratta di rintracciare l'uso della parola «io». Nella storia ontogenetica del linguaggio è chiaro che si tratta di una costruzione abbastanza tardiva, che sostituisce solo dopo un certo grado di sviluppo l'autodesignazione per mezzo del nome proprio. E però è difficile ritrovare culture o lingue che manchino completamente della prima persona singolare, di un modo linguistico speciale per designare quel punto di vista eminente che designa il responsabile di un atto di enunciazione. Quello che ci interessa però è la costituzione storica di un certo io, caratteristico della nostra tradizione letteraria, entrato da tempo nei nostri luoghi comuni; di un ego di tipo (per intenderci) agostiniano-cartesiano, vale a dire di uno spazio interiore immediatamente accessibile a se stesso e allo stesso tempo capace di escludere da sé tutto il r'esto, di un io come intimità. Una costruzione del resto non può che essere graduale, e ogni cesura in questo processo non può che essere artificiale e parziale. Individuare delle tappe caratteristiche è dunque una sfida notevole, che deve procedere in maniera per così dire indiziaria, tenendo conto dell'uso delle parole e in particolare del fatto che 164 ogni lingua interpreta le cose diversamente a seconda delle parole di cui dispone [ ...] Se diremo che gli uomini omerici non avevano né spirito né

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