teraria occidentale ha portato la propria interrogazione, fin da quando Aristofane la inventò, come arte, col paragone che istituì tra Euripide ed Eschilo (a tutto svantaggio di Euripide), o ancor più da quando Longino cominciò ad alleviare la propria angoscia nei confronti di Platone trattando dell'angoscia di Platone nei confronti di Omero. Sempre così ha lavorato la critica letteraria, ed è a questo tipo di lavoro che, io credo, essa dovrà tornare per risultare alla fine di qualche utilità. La critica dovrà rispondere sul serio alla domanda sul bello e sul brutto, sul come e sul perché. Su quale sia la rilevanza della letteratura per la nostra vita, e sul perché la letteratura significhi per noi una cosa quando ci sentiamo in un modo e un'altra quando ci sentiamo in un altro. Mi stupisce che non ci sia nessun critico contemporaneo disposto a discutere del pathos della grande letteratura, o a parlare sul perché una determinata opera susciti, o non susciti, profonda sofferenza. Ovviamente tutto questo viene liquidato come puro soggettivismo. /. Scrivere saggi come quelli di Hazlitt, di Ruskin, o di Pater, è ancora pensabile al giorno d'oggi? B. La maggior parte delle persone risponderebbe di no. Io posso solo dire che faccio del mio meglio. Continuo a ripetere, sebbene nessuno mi dia ascolto, o solo pochissimi, che la critica o è un genere letterario o non è nulla. Se non è un genere letterario, non ha alcuna possibilità di sopravvivenza. La potremmo considerare un genere minore, forse, ma non so perché. A guardar bene l'idea che la poesia o, anzi, la scrittura in versi, debba valere più della critica è un assoluto nonsenso. Equivarrebbe a sostenere che la versificatrice Felicia Hemans è una figura molto più importante del suo contemporaneo William Hazlitt. O che la Felicia Hemans del nostro tempo, e cioè Sylvia Plath, è una figura molto più importante che non, diciamo, il defunto Wilson Knight. È chiaro che non è così. La signorina Plath è una versificatrice mediocre. Leggo 157
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