Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

Non ne ho più la forza emotiva. Sarebbe uno sciupio di spirito che non posso permettermi. Inoltre, a questo punto, nulla mi sorprende. Sa, la situazione letteraria è di un'assurdità insuperabile. La critica accademica è entrata in una fase nella quale, devo ammetterlo, mi trovo ormai in disaccordo con il novantacinque per cento di quello che sento dire. È stalinismo senza Stalin. Tutti i tratti dello stalinista degli anni '30 e '40 si ripetono nel risentimento universitario anni '90. L'intolleranza, l'autocompiacimento, la ristrettezza di vedute, l'ipocrisia, l'abbandono dei valori immaginativi, la fuga dall'estetico. Non vale la pena di sentirsene davvero offesi. Queste persone finiranno col produrre il loro stesso antidoto, perché moriranno di noia. Alla fine vincerò io. Credo di essere il solo critico letterario di fama oggi in attività (non me ne viene in mente un altro, mi spiace dirlo, per arrogante o severo che suoni) il quale si chiede sempre, rispetto a quello che legge e gli piace, che sia antico, moderno, nuovissimo, o che sia stato sempre là: «Quanto, è bello? Di che cosa è migliore? Di che cosa è peggiore? Che cosa significa?», e: «C'è qualche relazione tra quello che significa e quanto è bello o brutto, e non soltanto come, è bello o brutto, ma perché?» Northrop Frye, che sotto molti aspetti è stato il mio precursore, ha tentato di bandire tutto questo dalla critica letteraria, così come io ho tentato di reintrodurvi una sorta di oscuro senso della temporalità, come correttivo all'idealismo platonico di Frye. Ho anche sollevato, più esplicitamente di chiunque altro oggi, di fatto di chiunque altro dai tempi di Johnson e di Hazlitt, la questione del: «Perché importa?» Ci dovrà pur essere una qualche relazione tra il modo in cui stiamo al mondo e il modo in cui leggiamo. Un parlare e uno scrivere di letteratura che parta da queste domande apparirà agli adepti della Scuola del risentimento ingenuo fino all'impossibile, o antiquato, o tutto fuorché critica letteraria. Ma io sono convinto che sia questo il livello al quale la critica let156

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