Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

/. Tuttavia ritiene che l'importanza dell'autore J come donna sia stata esagerata? B. Immensamente esagerata. In un'intervista comparsa sul «New York Times», l'acutissimo Richard Bernstein mi ha consentito di ragionare con calma sul mio convincimento profondo, più intenso di quanto non fosse prima, secondo il quale a stare alle prove interne, cioè a dire psicologiche e letterarie, è molto più probabile che si tratti di una donna anziché di un uomo. Ho anche sostenuto- e credo con molta passione - che se mi trovassi adesso a scrivere quel libro, non farei menzione del gender putativo del suo autore. Ha funzionato da gigantesco specchietto per le allodole, che è servito a stornare l'attenzione da quanto c'è di realmente controverso nel libro, da quello che dovrebbe essere sentito come il suo aspetto scandaloso e oltraggioso, e cioè il fatto che il dio - il personaggio letterario chiamato Yaveh o Dio - non ha assolutamente nulla in comune con il Dio dei revisionisti della Torah, e perciò della tradizione dell'ebraesimo normativo, del Cristianesimo, dell'Islam, e di tutte le loro emanazioni. I. Quest'aspetto del libro ha certamente attirato l'attenzione dei recensori ebrei ortodossi. B. Che hanno reagito molto male [...]. I. Così che se lei, come critico, offende le opinioni stabilite, a sua volta le subisce anche, le offese? È questo che vuole dire? B. No, no. Come critico spero di non offendere nessuno, e tuttavia credo sia questo l'effetto che produco. Ma solo perché gli altri sono quasi tutti così terribilmente mansueti e senescenti, o politicamente corretti, o paghi di recitare la parte dei riformatori sociali che vogliono farci credere che c'è una qualche connessione tra la letteratura e il cambiamento sociale. Offeso io? No, non mi sento offeso come persona. Ormai ho superato quella fase. Ho sessant'anni e sette mesi. È troppo tardi per offendermi. Davvero mi abbrevierei la vita se mi lasciassi offendere. 155

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