Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

sono perplesso. La scrittura mi sembra un così profondo atto di solitudine. La critica è un'arte che si può insegnare ma, come ogni arte, anch'essa al fondo è un dono[...]. I. C'è un'ora particolare della giornata nella quale le piace scrivere? B. No, per me non c'è. Io scrivo nella disperazione. Scrivo perché le pressioni sono così forti, semplicemente perché sono talmente in ritardo sui termini che devo assolutamente consegnar qualcosa. /. Lei dunque non ha sposato nessuna etica del lavoro quotidiano? B. Assolutamente no. Conduco una vita frenetica e disordinata. /. Ci sono dei giorni nei quali non lavora affatto? B. Ahimè sì, ahimè. Tuttavia non si smette mai di pensare alla letteratura. Per me non c'è distinzione tra vita e letteratura. Io sono, come non cesso dolorosamente di ripetere, un critico sperimentale. Ho passato la vita a dichiarare che la cosiddetta «obiettività critica» è una farsa. È la soggettività profonda che si deve toccare, che è difficile; l'obiettività è cosa da quattro soldi. I. Cos'è che le impedisce di scrivere, quando non riesce a produrre? B. La disperazione, l'esaurimento. Ci sono dei lunghi periodi durante i quali non scrivo affatto. Lunghi, lunghi periodi, che a volte durano molti anni. In alcuni casi si ha solo bisogno di riposarsi, come un campo coltivato. Inoltre gli interessi cambiano, sa. Si attraversano fasi così diverse. Incredibilmente difficile è stato il commento sull'autore J, che per me mutava radicalmente a mano a mano che mi convincevo che si trattava di una donna, il che faceva una notevole differenza. Voglio dire, ovviamente è solo questione di immaginare la cosa in un modo o nell'altro. Nessuno dimostrerà mai che l'autore J era un uomo o che era una donna. Ma mi accorgo che se penso nei termini di J come donna, ottengo risultati di maggiore accuratezza immaginativa. 154

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