Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

I. Quindi è superfluo il commento freudiano di Ernest Jones su Amleto. B. È molto meglio cercar di scoprire quale potrebbe essere il commento di Amleto sul complesso edipico. Vale sempre quella bellissima notazione di A.C. Bradley che i grandi eroi tragici shakespeariani funzionano esclusivamente nel dramma nel quale son collocati, per cui se lago salisse sul palcoscenico insieme ad Amleto, quest'ultimo ne scoprirebbe in non più di cinque secondi le trame e ne darebbe una parodia così maligna da sospingere lago alla follia e al suicidio. Allo stesso modo, se lo spettro del padre assassinato apparisse ad Otello, questi impugnerebbe la spada senza por tempo in mezzo, e taglierebbe l'altro in pezzi. In entrambi i casi non si darebbe dramma. E come i drammi farebbero poltiglia l'uno dell'altro se si tentasse di fonderli tra loro, così Shakespeare fa polpette di qualsiasi scrittore cui lo si metta vicino. Una lettura shakespeariana di Freud confermerebbe alcune cose, ma non altre. Creerebbe molta insofferenza, credo, nei confronti della rappresentazione freudiana dell'edipo. È disastroso voler applicare la lettura freudiana del complesso edipico ad Amleto. I. Ha mai recitato Shakespeare? B. Una volta sola, all'università di Cornell. Venni ingaggiato perché sapevo a memoria la parte di Padre Falstaff. Ma fu un disastro. Recitai come se sulla scena ci fossi stato soltanto io, cosa che diverte moltissimo il più giovane dei miei figli quando la racconto. Non aspettavo mai la battuta, e sul palcoscenico fu la paralisi. Io mi divertii, ma nessun altro all'infuori di me. Non molto tempo fa chiesero al Presidente Reagan, che meriterebbe di venir ricordato solo per le sue storielle, perché queste son veramente ottime, come aveva potuto resistere otto anni e conservare quel suo aspetto così straordinario. L'ha letto? I. No. B. Era sul «Times». La risposta fu: «Lasciate che vi 152

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