B. Sì, ricordo il momento preciso. Stavo facendo lezione su Re Lear, ed ero a un punto del dramma che mi ha sempre affascinato. Improvvisamente mi resi conto di ciò che stava accadendo. Edmund è il villain più importante in Shakespeare, dotato di una capacità manipolatrice tale da far apparire lago minore al confronto. Un'autocoscienza sardonica e sofisticata in grado di aggirare chiunque, sulla scena del King Lear. È così turpe che ci vogliono Regan e Goneril per stargli davvero al pari... Ha appena ricevuto da suo fratello la ferita mortale e giace lì, sul campo di battaglia. Gli viene portata la notizia che Goneril e Regan sono morte: l'una ha ucciso l'altra e poi ha commesso suicidio per amor suo. Edmund medita ad alta voce e dice, in maniera davvero straordinaria (è tutto in cinque parole): «Eppure Edmund è stato amato». Fissiamo quelle cinque parole sbalorditi. Nel pronunciarle, Edmund incomincia la sua riflessione ad alta voce: quali sono le implicazioni del fatto che, benché due mostri del profondo, quelle due donne lo amassero a tal punto che l'una ha ucciso l'altra per poi uccidersi a sua volta? Egli dice: «L'una ha avvelenato l'altra per amor mio/ Dopo di che si è uccisa». Poi all'improvviso: «L'aria mi viene meno», e subito dopo, ed è stupefacente: «Qualcosa di buono intendo farlo/ A dispetto della mia stessa natura», e d'un fiato, dopo che ha dato l'ordine di uccidere Lear e Cordelia: «Mandate in tempo», esclama, per fermare tutto. Ma i messi non arrivano in tempo. Cordelia è stata assassinata. Ed Edrnund muore. Però il cambiamento è sconvolgente, e si compie nell'attimo in cui, pietrificato dallo stupore, egli ode se stesso dire: «Eppure Edmund è stato amato». È da lì che scatta la riflessione. Se non avesse detto quelle parole, Edmund non sarebbe cambiato. Non c'è niente di simile in letteratura prima di Shakespeare. Rende Freud superfluo. Di una rappresentazione dell'interiorità così assoluta ed ampia non si dà l'uguale in precedenza. 151
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