renza tra le modalità del pensiero letterario francese e anglo-americano. Si spiega anche meglio perché la modalità francese, che sta avendo oggi su di noi un così assurdo effetto, sia tanto chiaramente irrilevante per la nostra letteratura e il nostro modo di parlare di letteratura. Posso farle un altro esempio. Recentemente ho tenuto un seminario di facoltà, nel quale ho esposto per circa due ore le mie idee su Shakespeare e sull'originalità. Alla fine una signora, appartenente alla facoltà, dopo avermi ascoltato con una sorta di stupore e una manifesta mancanza di comprensione, ha detto, visibilmente esasperata: «Sa, professor Bloom, io proprio non capisco perché lei parli di originalità. È passata di moda, come nella sfera economica l'impresa privata». Che assurdità essermi andato a cacciare in una situazione nella quale ero tenuto a parlare a un'esponente della Scuola del risentimento! Sono stato fin troppo gentile, visto specialmente che la mia collega Shoshana Felman è balzata su per cercar di spiegare alla signora cosa intendevo dire. Ma io avevo capito che non c'era niente da fare. La signora non usciva da Racine e Molière, ma di fatto da Lacan, Derrida e Foucault. E anche se fosse uscita da Racine e da Molière, non avrebbe mai potuto sperare di capire. Ricordo che in quell'istante mi balenò nella mente che ciò di cui avevo parlato era la straordinaria originalità del modo in cui i protagonisti di Shakespeare ponderano fra sé e sé e, in seguito a questa ponderazione, subiscono un cambiamento. La signora non poteva capire perché in effetti nei drammi francesi questo non succede mai; la mente critica francese non ha mai potuto accettare quel cambiamento come assolutamente giusto. Di certo ha a che vedere con una modalità della conoscenza, e della critica, nella quale la presenza autoriale non è mai stata molto forte, tanto da poter addirittura venire a mancare. I. Può spiegare come è arrivato a fare questa osservazione sui protagonisti shakespeariani? 150
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