Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

desiderano praticarla, è assolutamente affar loro. Non mio, grazie al cielo! Se questa critica non m'è d'aiuto nel leggere un'opera di valore dal punto di vista estetico, non mi interessa affatto. Non mi arrendo nemmeno per un istante all'idea che un qualche interesse sociale, razziale, etnico, o «maschile», possa determinare le mie scelte estetiche. Ho dietro di me l'esperienza, il sapere, la capacità d'intuizione di una vita. I. Cosa pensa di tutto il gran parlare recente del «problema del canone»? B. Che non è che un riflesso dell'attuale politica accademica e sociale degli Stati Uniti. Il criterio che rende un'opera canonica è se essa ha o no prodotto delle letture forti, vuoi come interpretazioni dichiarate, vuoi come forme interpretative implicite. Non c'è alcun modo in cui i ragazzi e le ragazze del gender e del «potere», o i Nuovi storicisti, o nessuno dei gruppi attualmente alla moda, possano aggiungere nuove opere al canone, non più di quanto lo possa tutto il turbinio della scrittura femminista, o di quella che oggi va sotto il nome di scrittura afroamericana. Alice Walker non entrerà nel canone dei poeti, per tutti i topi che possano uscir fuori a proclamarne la sublimità. Davvero mi sembra un falso problema. Son sempre più convinto che gran parte di quelli che ora passano per studi letterari della varietà politica cosiddetta corretta verrà spazzata via. È un rivoletto di superficie. Gli do cinque anni di vita. Ho visto molte mode andare e venire, da quando mi sono dato alla letteratura. Dopo quarant'anni si comincia a saper distinguere un'effimera increspatura da una corrente profonda, o da un autentico cambiamento. /. Lei insegna Freud e Shakespeare. B. Sì, sempre di più. Ripeto in ccntinuazione ai miei studenti che non sono interessato a una lettura freudiana di Shakespeare, ma a una sorta di lettura shakespeariana di Freud. C'è un senso in cui Freud è inevitabilmente una 147

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