Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

ra, tutti i giorni, e quasi contemporaneamente leggevo Freud. Gli amici, stupefatti, mi chiedevano: «E Thoreau? Lui almeno conterà qualcosa». Io li fissavo a mia volta sbalordito e rispondevo quella che era ed è la verità, e cioè che Thoreau è profondamente indebitato nei confronti di Emerson, oltre ad essere una figura molto minore. Emerson è Dio. I. A quell'epoca lei era in analisi. Come andò? B. Come alla fine ebbe a dirmi il mio illustre analista, non si produsse mai un vero e proprio transfert. I. Non le riusciva di accettare l'autorità dell'analista? B. Ritenevo e ritengo ancora che si trattasse di un'ottima persona ma, come acutamente osservò lui stesso, lo pagavo per tenergli lezione, più volte la settimana, sul modo giusto di leggere Freud. Era convinto che questo risultasse molto frustrante per entrambi. /. Una terapia riuscita può essere tanto strettamente legata alla lettura di Freud? B. Secondo me l'espressione "terapia riuscita" è un ossimoro. /. L'analisi è sempre interminabile? B. Non conosco nessuno che abbia tratto qualche beneficio dall'analisi, freudiana o d'altro tipo, tranne quello di farsi sempre più piccolo, fino all'essiccazione totale, secondo l'immagine corrente. Ossia ogni passione spenta. Forse si diventa persone migliori ma anche, con pochissime eccezioni, stantie e poco interessanti. Come formaggi secchi o fiori appassiti. I. Temeva di perdere la sua creatività? B. No, no. Non era affatto quello il punto. /. In quel periodo lei aveva difficoltà a scrivere. B. Oh, sì. Avevo crisi di ogni genere. Mi trovavo, in tutti i sensi, «nel mezzo del cammino». D'altra parte, queste crisi per me sono state sempre ricorrenti. Eccomi qui, a sessant'anni suonati, e più che mai nel mezzo del cammino. È qualcosa che ha a che fare col territorio. Non c'è che continuare ad andare. 140

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