C'è da meravigliarsi che il romanzo -The Portrait of a Lady - gli appaia, a trent'anni di distanza, un involucro, una casa da lui costruita attorno a quella prima projection? Se mai casa fu proiezione esterna di un apparato psichico e mentale (una tematica molto lavorata negli ultimi anni da Virginia Finzi Ghisi) - nei sogni, ma anche nella realtà, nella memoria del soggetto - quella del Ritratto Io è davvero e consapevolmente fin nel ricordo. Questo non perché nel romanzo compaiano delle dimore, pur importanti tematicamente in James come sempre, ma perché il romanzo stesso si configura, nel ricordo del suo prodursi, come conglomerato di materiali edilizi infiniti - «bricks innumerable» -projection di una pura spazialità mentale. Così «architettura» o manque d'architecture non sono in rapporto a un problema di struttura, di plot («nefarious name», p. 42), ma alla possibilità di arrivare a «veder collocati» i personaggi. Architettonico è il principio di composizione, il processo stesso della visione. Ed è in questo passaggio che possiamo cogliere il mutamento di status in James del motivo dell'interieur, della casa, o, paterianamente della memoria di luogo. Che da tema del racconto si fa equivalente e quasi organo della memoria del soggetto, quasi sostituendosi al personaggio, alla creatura vivente. Sarà così in molti romanzi novecenteschi. Uno snodo sottilissimo e delicato, già presentito dal Fanciullo pateriano di The Child in the House, quando all'inizio del racconto-reverie è detto come, a seguito di un sogno che gli riporta la casa della sua prima infanzia, il giovinetto si mettesse a pensare, essendo l'immagine di luogo così viva in lui, «a se stesso colà. A come i suoi pensieri gli erano cresciuti dentro». Gradualmente, di qui, la concrezione di casa e figura umana si solidifica a tutto vantaggio del mattone, della pietra. In Howards End di Forster, per esempio, noi non veniamo tanto a sapere cosa pensi o ricordi la signora 136
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