Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

«È difficile», scrive James nella Prefazione a Eamericano, «scrivere dei luoghi sotto l'influsso di un'impressione troppo immediata». E parla della «grande armonia di Parigi», di come essa ha accompagnato la sua scrittura, in una sorta di interlineazione sonora che ancora giunge al suo orecchio dalle pagine di quell'importante romanzo, The American. Che però non è, né può essere, come subito precisa, trasfusione diretta sulla pagina dell'immensa sovrastante presenza di quella città. Spessissimo nelle Prefazioni viene in primo piano l'immagine della città - Parigi, Firenze, Venezia - che a suo tempo diede il via alla composizione. Il luogo è presenza benigna, fecondante, per l'immaginazione jamesiana. Tuttavia, per salvare il proprio silver thread, questa deve prenderne le distanze. Si direbbe che sia stato soprattutto l'uomo, lo scrittore al lavoro, ad aver avuto bisogno di certi determinati luoghi per il suo conforto fisico, preliminare alla composizione vera e propria. Sicché: «Come è possibile che luoghi che parlano così in generale all'immaginazione non le diano poi la cosa che essa richiede?», si chiede a distanza di tempo, nel riandare sul proprio lavoro. Perché ora, nel miracoloso sforzo d'attenzione col quale nelle Prefazioni ricostruisce la storia della crescita - growth - della propria immaginazione, sono proprio le immagini dei luoghi a tornare per prime: la protezione offerta dalla costa di Normandia, per esempio, o la sottile sostanza psichica e storica di Saint-Germain-en-Laye, o la luce filtrata da strette finestre di antiche stanze francesi, luce così penetrante da impregnare -quicken è la parola - la «visione originaria». Nella ricostruzione della memoria, le finestre sono particolarmente importanti. Nella Prefazione a The Portrait of a Lady, ricorda come scrivesse da una stanza che dava sulla Riva degli Schiavoni; come fosse elettrizzato e insieme disturbato, continuamente distratto dal lavoro, dalla fantasia di tornare a 133

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