Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

il monumento come punto terminale di una storia. Il dorso dell'Ercole riposante di Villa Albani lo vede «curvo come chi è immerso in alti pensieri». E nel torso dell'eroe scorge «nondimeno gl'indizi dell'atto», come scrive, in italiano, nei Monumenti antichi inediti, del 1767. Una tipologia di sguardo, questa winckelmanniana, la cui novità fu prontamente afferrata da Goethe, che nel saggio dedicato allo studioso e antiquario tedesco - il primo di una illustre serie che annovera fra gli altri quello di Pater negli Studi sul Rinascimento, e di Praz in Gusto neoclassico - riconoscerà come tratto distintivo delle opere del Winckelmann «il tentativo di lumeggiare personalità ed opere d'arte col mezzo della riflessione e della parola». Siamo già in quella direttrice della sensibilità che postula la circolazione di un'energia comune tra parola e volumetria spaziale; tra la parola e la pietra, potremmo dire, sentendo l'approssimarsi delle ruskiniane Pietre di Venezia. «L'idea di leggere un edificio allo stesso modo in cui leggeremmo Milton, o Dante, e di estrarre dalle sue pietre lo stesso tipo di godimento che otteniamo dai versi, non ci passa mai per la testa, neppure per un momento», scrive lì Ruskin, curiosamente mettendo in campo, nel negarla, proprio quell'analogia. E intanto si aggira instancabile per i canali e le calli, spinto dal desiderio mai sazio di impadronirsi col disegno e con la parola di tutta la complicata fioritura architettonica veneziana, soprattutto nella sua varietà gotica. Tra le principali bellezze di quello stile annovera la «Changefulness» e la «Savageness»: che ne sono, dice, le «caratteristiche», gli «elementi morali». L'infinita varietà del gotico gli si manifesta come sottesa da una «strana inquietudine», da una «irrequietezza della mente sognante che vaga qua e là per le nicchie, guizza febbrile intorno ai pinnacoli, si agita e si spegne in labirinti di nodi e di ombre lungo i tetti e le pareti». È proprio in quell'inquietu125

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