la quale nasceranno, nel secolo successivo, le Lives of the English Poets del dottor Johnson. All'atto poetico è immanente una capacità biografica: di scrittura della vita. La poesia è da Milton vista lavorare in presa diretta sulla vita: il cuore, «ogni cuore», ne ha bevuto profondamente, e reca incisi dentro di sé, «con profonda impressione», «i delfici versi». Sicché ascoltandoli con l'udito interiore - ché qui si parla di libro e anche l'occasione esterna è libresca, poiché il componimento fu scritto in occasione della pubblicazione della seconda edizione dell'in-folio shakespeariano - la nostra «fantasia» (fancy) è rapita fuori di se stessa, e siamo fatti noi di marmo dal troppo pensare noi stessi: With tao self-conceiving. Diveniamo noi il monumento, il sepolcro che custodisce la poesia. Lo scambio tra organico e inorganico, tra animato e inanimato, che sosterrà l'attribuzione, da parte di Ruskin, ma anche di Poe per esempio, di una inusitata capacità di sentire all'oggetto architettonico, o magari ad un interno, si è già perfettamente consumato in Milton. All'aprirsi della fase neo-classica, la piramide da lui evocata può ricordare certe forme del Canova. Penso per esempio al monumento all'Alfieri in Santa Croce a Firenze, o al monumento Stuart in San Pietro a Roma. Ecomunque siamo certamente al livello massimo d'astrazione e di volontà simbolica: piramide da una parte, opus shakespeariano dall'altra. Ma i termini non sono più in relazione competitiva, perché il monumento è passato dalla parte della poesia, per così dire. Si presta a un tipo d'osservazione che molto ha in comune con la lettura. Un passaggio evolutivo, quest'ultimo, che sarà Winckelmann a fissare per la sensibilità europea del XVIII secolo, predisponendolo all'ulteriore lavorazione da parte dei romantici. Nelle sue descrizioni di pezzi di scultura antica, Winckelmann risale dall'immagine ferma al movimento soppresso che idealmente la precede. Legge così 124
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