Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

dere con il supporto materiale cui ne viene affidata la trasmissione. Per questo, nella universale lotta contro il tempo, la poesia era vista vincere sul monumento. Non perché il libro, la carta, ce la possa sul mattone. La poesia prima di tutto è canto: idealmente, il suo mezzo di trasmissione è sempre la bocca, la voce. La poesia si impara a memoria. Essa conduce direttamente al cuore, alla vita, degli uomini, senza altra intermediazione che se stessa. Un tratto, quest'ultimo, bene evidenziato da Milton nei suoi versi su Shakespeare. Il monumento, anche lì la piramide, l'insuperabile forma piramidale - la più forte contro il tempo, e perciò la più adatta a un monumento funebre, come bene spiegherà Imlac al giovane Rasselas nel romanzo filosofico del dottor Johnson. Ma si ricordi l'orrore con cui la giovane ancella della principessa la considera - è ancora una volta scartato, in Milton, a favore della poesia. Ma - e il passaggio non è da poco - non più in vista di una maggiore capacità di resistenza che quest'ultima opponga alla rovina del tempo. Nei versi di Milton, lungi dallo scomparire, dal disgregarsi per lasciar posto al monumento poetico e verbale, proprio l'artefatto marmoreo, star y-pointing pyramid, rimane fermamente in campo e diviene, ancor più strettamente che in Orazio e in Shakespeare, il filtro metaforico attraverso il quale la poesia pensa se stessa. Non si ricerca più il gioco contrappositivo dei materiali - costruttivi o poetici - per dire la «maggior perennità» della poesia. La poesia shakespeariana e la piramide sono ora una cosa sola. Condividono un unico destino: sono entrambe peritùre, fragili addirittura. Ed entrambe massimamente resistenti. Vive: live-long. Lunghe quanto la vita stessa, letteralmente. Dai versi di Milton il motivo del potere eternante della poesia e dell'arte si è abissalmente allontanato. È già implicita in essi la visione«biografica» dell'atto poetico dal123

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==