sono stati segnalati, di giudizi che si spiegano agevolmente se si considera l'orientamento generale dell'etnografia cesariana, per la quale la condizione dei popoli barbari costituisce essenzialmente una condizione di arretratezza culturale. Implicazione importante della posizione di Cesare era quella di prevedere, per i Galli sottomessi al dominio romano, la possibilità di fuoriuscire dalla condizione di arretratezza e di barbarie. La posizione di Cesare, per questo aspetto, prefigura consapevolmente il processo di romanizzazione della Gallia che sarebbe stato attuato nei decenni successivi. Nella tipologia delle popolazioni galliche e germaniche che Cesare traccia nel De bello Gallico, il criterio distintivo è costituito precisamente dai maggiori o minori contatti che le diverse popolazioni avevano con l'area romanizzata, soprattutto tramite rapporti di carattere commerciale. Motivazione non ultima della campagna gallica era, del resto, proprio quella di aprire nuovi mercati alle produzioni italiane, ed in particolare alla produzione vinicola. Non casualmente i Germani, come riferisce lo stesso Cesare, per difendere la propria indipendenza avevano proibito l'importazione del vino, «perché ritengono che questo prodotto renda gli uomini fiacchi a sopportare le fatiche e li porti all'effeminatezza»34. Il successo, per Cesare, consisteva anche nel costringere i propri avversari ad aprire il proprio territorio ai mercanti; si trattava, come egli ben sapeva, della premessa per un'ulteriore penetrazione. L'approccio etnografico di Cesare restò un fatto isolato; lo stesso Epicureismo, dopo la fortuna incontrata nei circoli romani del I sec. a.C., nell'età imperiale entrò in una fase declinante. A romanizzazione della Gallia ormai avviata, qualche decennio dopo Cesare, Strabone si trovò a dover spiegare come mai Galli e Germani, che in Posidonio erano uniformati quali popoli settentrionali, rivelassero ormai caratteristiche così diverse fra loro. Restando 91
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