Zio Theodore, un racconto giovanile di Karen Blixen. Ormai sposata al visconte di Vieusac, la cuoca Marceline racconta al figlio sedicenne un suo desiderio mai realizzato: «Sin da giovanissima, quando ero apprendista cuoca, ho pregato Dio di poter un giorno sedere tra coloro che il cibo lo mangiano» (C 120). Questo «vivo e umano» desiderio non è affatto condiviso da Babette, che pensa al suo lavoro in cucina come a un'arte in grado di rendere felice lei e i suoi ospiti, non come a un lavoro o un mezzo di promozione sociale. Le poche parole dedicate all'apprendista cuoca rimangono però a indicare la precisa direzione del percorso seguito da Karen Blixen nel perfezionare la propria arte del racconto. Cancellato ogni umano desiderio, ogni familiarità esclusa, il fascino che Babette esercita sul lettore è un fascino non personale, ma di posizione, derivato com'è dalla perfetta architettura della storia. Qui, come voleva il cardinale, è la storia a dominare sui personaggi. Rispetto all'intreccio i personaggi si trovano in una situazione simile a quella che Karen Blixen delinea con estrema precisione in Gli invincibili padroni di schiavi. Dopo che Axel si è travestito da domestico per stare vicino a Mizzi, Karen Blixen scrive: «per tutto il giorno, si mosse e parlò come un uomo che sappia di essere lo strumento del destino» (RI 154). Proprio come il finto servitore, i personaggi di Karen Blixen sono gli strumenti di uno schema narrativo che li precede ed è più forte di loro. E addirittura in Zio Theodore, scritto da una Karen Blixen giovanissima prima della sua partenza per l'Africa, troviamo già un accenno che prefigura questa sottomissione dei personaggi all'intreccio. L'incontro tra il giovane Jacques Vieusac e la promessa sposa si apre infatti con queste parole: «prima o poi ci si imbatte nel proprio destino, e finalmente egli incontrò Suzanne Boyer» (C 122). In principio era la storia, aveva affermato il cardinale. La passione di Karen Blixen per le storie trova riscontro 67
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