Lear come una tragedia non-cristiana, in armonia con il suo paganesimo precristiano, ambientata in un' Inghilterra contemporanea al libro di Giobbe. Lear muore nella disperazione di non avere dèi pagani, ma Shakespeare fonde, in tale riecheggiamento, alcuni accenti di apocalisse biblica. Nella Bibbia il nulla si fa creazione, e niente può più essere di nuovo ridotto al nulla, neanche nell'apocalisse. Ma nella tragedia di Lear, dal nulla non procede che il nulla, e pertanto, in definitiva, il nulla coincide con l'inizio e con la fine. Se Lear non avesse abdicato, l'interregno avrebbe potuto protrarsi ancora un poco, ma già nella scena di apertura il potere deve cedere. La grandezza della natura di Lear ci è costantemente testimoniata dal fatto che le sue ire, le sue oscurità, le sue cecità hanno dimensione cosmologica. Egli deriva dallo Yahweh della teofania del Sinai; ma anche dallo Yahweh semi-folle dei Numeri, che conduce un branco di semi-folli attraverso il Deserto. Ed eccomi di nuovo a tornare ai modi in cui le qualità di Lear vengano poste in rilievo dal Fool e da Edmund, dato che essi rappresentano il nulla dell'origine e della fine che Lear avrebbe dovuto affrontare, per arginarlo, per tenerlo fuori dal proprio regno. L'ambiguità del Fool nei confronti di Lear potrebbe anche non essere originaria, ma ad ogni modo finisce per diventarlo. Edmund, svincolato da ogni sentimento fino al mutamento di fronte alla morte, sembra indifferente verso il re e non manifesta nei suoi riguardi alcuna reazione. Ciò peraltro non sorprende, giacché Edmund è del tutto privo di sentimenti per il padre. Tuttavia, tutto il comportamento di Edmund è una critica della passionalità di Lear, di un re-padre incapace di controllare persino le componenti della propria personalità. Al contrario, Edmund ha un controllo pressoché soprannaturale di se stesso, e rappresenta una natura che si configura esattamente come un nulla che sa. Non potremmo mai credere 48
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