Il piccolo Hans - anno XX - n. 78 - estate 1993

6). La seconda illustra la ripetizione, e qualche volta sembra il risultato delle manovre onnipotenti tendenti a fermare il tempo che va via, con la conseguenza di anticipare la morte. «Che cosa servono a quel tizio ottant'anni trascorsi nell'inerzia? Costui non è vissuto, ma si è attardato nella vita, e non è morto tardi, ma lentamente. "È vissuto ottant'anni". L'importante è da che giorno calcoli la sua morte» (Seneca, Lettere a Lucilio, Libro XV, 93, 3). In rapporto all'osservazione sulla durata dell'analisi, quella di fermare il tempo è una fantasia da analizzare con cura, poiché esiste il rischio di trasformare l'analisi, seguendo le aspettative del paziente che proietta l'idea di manipolazione onnipotente del tempo sull'analista e sull'analisi stessa, in un pazzo tea-party. Sempre Seneca enuncia che dall'unione di queste due figure nasce un: «... ondeggiare infelici tra il timore della morte e le angosce della vita» (Libro I, 4, 5). Il tempo acquista comunque, per molti soggetti, da un certo momento della vita in poi, un carattere sacrale, che è ben illustrato nel rimprovero che lo Hatter rivolge ad Alice: «If you knew Time as well as I do, you wouldn't talk about wasting it. It's him». 4. Non si può scindere la considerazione della vecchiaia dalla considerazione dei processi di lutto. Da una parte c'è il deperimento che fa parte del normale invecchiamento. Intendo per deperimento la perdita di capacità fisiche e mentali prima possedute, e sottolineo normale, in quanto nella letteratura frequentemente si omette di distinguere tra la normalità del processo e la patologia. Quest'ultima, quando non è la conseguenza di fattori organici specifici, è il risultato, come in un'altra qualunque tappa della vita, di strutture già patologiche, deboli, narcisistiche o insufficientemente integrate, che cedono di fronte a sollecitazioni che superano i loro mezzi. Da un'altra parte ci sono i lutti dovuti alle inevitabili perdi23

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