Il piccolo Hans - anno XX - n. 78 - estate 1993

ta non tiene per sé le sue teorie, o i suoi deliri -secondo la formula «la teoria di un singolo è delirio, mentre i deliri di molti sono teoria» -, al contrario, li distribuisce allegramente tutt'intorno. Ad esempio: della sua personale concezione del ready made di Duchamp egli fa una macchina da guerra rivolta contro quella parte della storia dell'arte che detesta, o della quale, piuttosto, nega l'esistenza. Matta professa un sacro terrore, che si potrebbe anche chiamare disgusto fobico, verso il collage, gli assemblaggi, la pop art, il nuovo realismo, l'arte concettuale, il neo-espressionismo, l'arte povera, eccetera -li mette tutti nello stesso sacco, senza ulteriori distinzioni, con superiore disprezzo, mobilitando tutta un'offensiva, e una controffensiva di odio che si rivolta su di lui, come un ascensore prenotato sempre per quel piano-, ripetendo, implicitamente, sempre gli stessi pregiudizi ideologici, i più conservatori. Lui si arrabbia e basta: non gli importa nient'altro. Parte in guerra, è questo che conta: Loro - cioè «tutti quei falsi artisti» (sic) - sono sempre lì a scoprire che «l'uomo ha inventato i calzini». Ma il ready made non era mica questo. Il concetto di ready made era: scuotere la gente perbene. Per Duchamp era un'arte dello schiaffo, un formidabile schiaffo somministrato al gusto borghese dell'epoca. Oggi, invece, ne hanno fatto un'arte dello schiaffeggiato, un'arte borghese, un'arte della banalizzazione; il suo solo concetto è di fare piacere ai mercanti, al potere. L'atto più banale viene così eretto a monumento. Dobbiamo ammettere che, quando si espone una bottiglia di birra o di Coca cola, il potere culturale è in mano a degli ignoranti tautologici. (Apro una parentesi, necessaria, dal mio punto di vista, per precisare che trascrivo qui, nel modo più fedele possibile, il discorso di Matta, ma che ciò non significa che io vi consenta. Io amo Matta: da sempre; ma, purtroppo, il 195

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