Il piccolo Hans - anno XX - n. 78 - estate 1993

cavallina con le lingue, scorre sullo spagnolo, l'inglese, l'italiano, e finisce per ingolfarsi in un francese piuttosto liquido, inframmezzato da frasi come: «Non sono un pittore! Non è pittura quello che faccio io! È un equivoco...» E che fatica cercare di spillargli qualche "nota illuminante" sul suo lavoro, che lui stesso non abbia già pronunciato centinaia di volte, o che non peschi nell'asprezza e nel risentimento contro i pittori contemporanei, che Matta detesta e accusa in blocco di mediocrità - in particolare gli americani. Rimane forse solo una soluzione: rinunciare del tutto ad intervistarlo - e contentarsi di quello che viene, inavvertitamente. Non è un caso che Matta abbia sempre ricoperto i suoi muri di bellissime maschere (ne possiede di molto rare, di origine esquimese, melanesiana o africana). E se dietro ogni maschera il «vero volto» fosse sempre il suo, ogni volta diverso? Che lo voglia o no, Matta è uguale ai suoi "colleghi" almeno in questo, che la sua opera pittorica si divide in più periodi ben distinti gli uni dagli altri per scelta di tecniche e colori. Eppure l'ispirazione erotica li attraversa tutti, in modo talvolta esplicito, e persino insistente. Lo sguardo desiderante, con l'età, non lo ha abbandonato per nulla. L'energia sensuale degli ultimi quadri dell'ottuagenario Francis Bacon - che Margaret Thatcher, la grande critica d'arte, definiva come «l'uomo che dipinge quei terribili quadri» [«the man who paints those dreadful pictures»] - mi richiama alla memoria la grande esposizione di quadri recenti di Matta al Palazzo Reale di Milano. Composizioni strutturate dai movimenti dei corpi, ampie tele macchiate di colori fosforescenti. E i nudi femminili osceni, pastelli dai colori vivaci, attraversati da spruzzi, 191

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==