Per la prima ed ultima volta il carattere dell'Ariosto si è aperto senza mediazione letteraria; ma intanto ha trovato certe note anche stilisticamente vigorose, che scoprono la grandezza umana nella grandezza dello scrittore. A conferma di questo denso giudizio di Segre si può forse aggiungere che, nel corso dei tre anni del suo governatorato, ferma restando la insoddisfazione di Ariosto per il proprio ingrato compito, non è difficile ·scorgere i segni di un progressivo coinvolgimento, e non solo «ufficiale», entro le sorti della popolazione garfagnina. Se è pur ".ero, come leggiamo nella Satira VII, che egli non vede l'ora di lasciare «l'asprezza I di questi sassi, e questa gente inculta I simile al luogo ove ella è nata e avezza», e tale è il disordine e il pericolo per la «gran schiera» degli «assassini», che «Saggio chi dal Castel poco si scosta!» (Satira IV, v. 169), il diretto contatto con la gente di Garfagnana, apre l'animo del poeta a una forma non occasionale di pietas, e quasi di solidarietà, nei confronti di coloro, e sono i più, che della miseria e della violenza diffuse subiscono quotidianamente le dolenti conseguenze. I «poveri homini», un'espressione che nelle prime lettere appare quasi unicamente di carattere definitorio, in opposizione agli «homini da bene», prendono via via corpo e umana realtà. Alle loro condizioni di miseria Ariosto fa sovente riferimento nelle lettere ufficiali che invia al governo di Lucca, gli Anziani di Santa Zita, raccomandando clemenza per i sudditi garfagnini arrestati o puniti in territorio lucchese per reati minori. «Io raccomando in somma questo poveretto a V. S., il quale non ha al mondo cosa che sia sua se non grave famiglia, alla quale affaticandosi e stentando fa le spese al meglio che può» (Lettera 134)14; «Pure la compassione ch'io ho a questo povero homo, ch'ogni dì mi torna a piangere dinanzi, mi sforza di nuovo raccomandarlo a V. S., la quale prego che, veduto il bisogno del poveretto...» (Lettera 138)15; «Al qual ca183
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