Il piccolo Hans - anno XX - n. 78 - estate 1993

Con il consueto understatement, o se si voglia, con la consueta autoironia, Ariosto afferma al cugino Malaguzzi, cui la Satira IV è diretta: Fu di me fatta un'improvvisa eletta o forse perché il termine era breve di consigliar chi pel miglior si metta, o pur fu appresso al mio signor più lieve il bisogno dei sudditi che il mio, di ch'obligo gli do quanto se gli deve. Obligo gli ho del buon voler, più ch'io mi contenti del dono, il quale è grande, ma non molto conforme al mio desio. (IV, vv. 193-201) Che il prestigioso incarico non fosse stato sollecitato da lui ce lo dice il poeta stesso nel Capitolo V: ben saggio fui, ch'all'altrui preci, a cui deve e potei chiuder l'orecchi più che al mio desir proprio satisfeci. né, varie volte ripetuto e variamente motivato (la lontananza da Alessandria, il poco o nessun tempo per scrivere, le insidie al suo stato di salute, la propria inettitudine a frenare la prepotenza delle fazioni e l'endemico banditismo locali) vale il pentirsi: Pentomi, e col pentir mi meraviglio com'io potessi uscir sì di me stesso, ch'io mi appigliassi a questo mal consiglio. E tuttavia, a noi lettori ed estimatori del poeta e dell'uomo Ariosto, i quasi tre anni e mezzo (febbraio 1522giugno 1525) del suo commissariato, consentono di precisare e mettere ulteriormente a fuoco quale solida struttura intellettuale e morale sia sottesa alla fantasia, all'armonia, all'eros come amor vitae del suo capolavoro, quel 181

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