Il piccolo Hans - anno XX - n. 78 - estate 1993

quando vivevano gli uomini di giande (I, vv. 148-150) ch'io vado solo e a piedi ove mi mena il mio bisogno, e quando io vo a cavallo le bisacce gli attacco sula schiena (I, vv. 175-177) Non curo sì del vin, non già il rifuto; ma a temprar l'acqua me ne basta poco (II, vv. 49-50) In casa mia mi sa meglio una rapa ch'io cuoca, e cotta s'un stecco me inforco e mando e spargo poi di acetto e sapa che all'altrui mensa tordo, starna o porco selvaggio; e così sotto una vil coltre come di seta o d'oro, ben mi corco (III, vv. 43-48) E se, come d'onor mi truovo sazio la mente, avesse facultà abastanza, il mio desir si fermeria, ch'or spazia sol tanta ne vorrei, che viver sanza chiederne altrui mi fesse in libertade, il che ottener mai più non ho speranza (VII, vv. 34-39) Fa che la povertà meno m'incresca e fa che la ricchezza sì non ami che di mia libertà per suo amor esca; (I, vv. 166-168) E si potrebbe continuare con questa lunga serie di citazioni. Se mi vi sono soffermato, certo oltre misura, è perché attraverso di esse la viva voce di Ludovico Ariosto offre un ritratto di sé difficilmente in altro modo riassumibile. Di più: esse offrono uno specimine ineguagliabile della tonalità generale delle Satire. Se queste, infatti, altrove si colorano degli accenti dell'invettiva contro i cor178

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